L’onda del movimento #Metoo e dell’indignazione contro le molestie e gli abusi sessuali alle donne è arrivata anche in Cile, dove da quasi un mese le studentesse hanno iniziato a protestare, prima con una una marcia con 150.000 ragazze, alcune vestite da suore, altre a seno nudo, per le strade della capitale Santiago, e poi con lo sciopero delle lezioni e l’occupazione delle università. Attualmente sono 18 gli atenei di sette regioni in questa situazione.
Ad accendere la miccia sono stati diversi casi di molestie sessuali e abusi commessi al loro interno, non trattati con il dovuto rigore e tempestività, come quello della facoltà di Giurisprudenza dell’Università del Cile di Santiago, che vede coinvolto l’ex presidente della Corte Costituzionale e professore di Diritto amministrativo, Carlos Carmona. Ad accusarlo è stata una studentessa del quinto anno, sua assistente, ma il processo avviato con lentezza dall’università ha respinto l’accusa e comminato solo una sanzione di tre mesi al docente per “violazione della correttezza amministrativa”, perché i regolamenti universitari non prevedono la figura delle molestie sessuali.
Una decisione che ha suscitato un’ondata di indignazione e condanna generale da parte degli studenti della facoltà, che hanno occupato l’ateneo e chiesto la destituzione del professore. Da lì l’effetto è stato a cascata e le studentesse di un’università dopo l’altra hanno iniziato a mobilitarsi esigendo riforme strutturali e l’approvazione di protocolli interni per sradicare il maschilismo dall’educazione universitaria, con sanzioni per molestie e abusi sessuali, e assistenza psicologica per le vittime.
Un tema sentito da parecchio tempo, ma che finora non aveva mai trovato sbocco, come riferiscono diverse ex studentesse e studenti dell’Università Cattolica di Valparaiso, uno degli atenei in mobilitazione. “Al primo anno, durante la prima lezione di diritto costituzionale, il professore ci disse – racconta Susana – ‘per la metà siete donne, quante di voi vengono a cercare marito e quante meriteranno davvero il pagamento degli studi dallo Stato?’ Era il 1976, non lo dimenticherò mai”.
Anche Carla racconta che il suo professore di diritto costituzionale le chiese perché stesse studiando, “e dopo aver sentito la mia risposta disse: ‘No, lei studia per essere una moglie migliore per suo marito'”, così come Francisco conferma il maschilismo imperante: “Ne sono stato testimone alla facoltà di Diritto dall”86 al ’92, dove i professori dicevano alle studentesse: ‘Lei è ancora qui e non trova un marito?'” o ‘Perché non va a studiare come maestra d’asilo?'”, senza contare che alcuni docenti del primo anno “preferivano insegnare di più agli uomini. Non tutti erano così, ma i più influenti e importanti sì”.
Da parte loro i rettori delle università coinvolte si sono mostrati disponibili al dialogo per poter riprendere al più presto con l’attività accademica, ma le leader del movimento femminista hanno detto che le proteste finiranno quando si inizieranno a fare accordi con i responsabili di tutti degli atenei. “Vogliamo che ci sia un coordinamento a livello nazionale, perché nella nostra università abbiamo ottenuto ciò che volevamo, ma le nostre compagne no. Continuiamo ad essere in mobilitazione appoggiando la causa a livello nazionale”, ha spiegato Valentina Gatica, presidente della Federazione studentesca dell’Univesità Australe.
Il nuovo governo di Sebastian Pinera questa volta non vuole commettere lo stesso errore fatto nel 2011 con le proteste del movimento studentesco, e si è detto disposto ad ascoltare il movimento femminista e far suoi alcuni temi. Lo stesso presidente incontrerà infatti alla Moneda i leader del movimento e alcune deputate del Partito Comunista e Socialista, tra cui Camila Vallejo e Karol Cariola del Partito comunista (già leader delle proteste studentesche nel 2011), al termine del quale darà un messaggio su ciò che vuole trasmettere il suo governo in questo ambito.