Catturavano e trafficavano animali protetti, prevalentemente uccelli, che poi finivano anche nei ristoranti del Veneto e della Lombardia. Con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione, uccisione e maltrattamento di animali, i carabinieri forestali di Reggio Calabria hanno arrestato otto persone.
L’inchiesta “Free Wildlife”, diretta dal sostituto procuratore Roberto Di Palma e coordinata dal procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni, è iniziata nel 2016 e ha portato al sequestro di circa 13.000 esemplari di avifauna protetta e 60mila uccelli morti pronti per essere venduti e piazzati nei locali. Gli indagati, finiti agli arresti domiciliari, avevano un volume d’affari annuo che si aggirava sul milione di euro.
Il capo dell’organizzazione, secondo gli inquirenti, era Francesco Repaci, detto “o zoppo”. Era lui – scrive il gip che ha firmato l’ordinanza di arresto – “il punto di riferimento di tutto il gruppo, avendo il potere di attribuire le zone per la cattura dell’avifauna e ricevendo dagli associati riscontro di quanto raccolto durante l’attività illecita”. Zone che venivano “pasturate” ricoprendole con mangime per uccelli. Gli indagati posizionavano in prossimità dei corsi d’acqua, dentro gabbie chiuse, volatili della medesima specie oppure richiami acustici a funzionamento elettromagnetico. Una volta che riuscivano ad abituare la specie protetta a frequentare quelle aree, venivano installate le reti da uccellagione illegali e vietate in tutta Europa.
Si trattava, in sostanza, di trappole dove finivano non solo gli esemplari che poi venivano immessi nel mercato nero ma anche uccelli che non interessavano agli indagati. Tutti gli animali poi venivano sottoposti a condizioni insopportabili se non uccisi con crudeltà. Gli indagati, infatti, torcevano il collo agli uccelli quando, per ammazzarli, non era sufficiente premere con il dito sulla loro testa.
In ogni postazione, i bracconieri riuscivano a catturare non meno di 300 esemplari al giorno. Se poi si considera che, sul mercato clandestino, il prezzo di ogni uccello poteva fruttare fino a 100 euro è facile comprendere il business messo in piedi dagli indagati. Oltre che nei ristoranti del nord Italia, Repaci riusciva piazzare cardellini, frosoni, verzellini e verdoni pure a Malta. Ad aiutarlo, tra gli altri, c’era sempre il figlio Pasquale (anche lui finito ai domiciliari, ndr) che, nel marzo 2015, era stato sorpreso proprio sull’isola al centro del Mediterraneo con 833 uccelli vivi a bordo di una Fiat Seicento.
Per gli investigatori, l’organizzazione di bracconieri calabresi ha rappresentato una “grave minaccia alla biodiversità”. L’alterazione delle relazioni esistenti tra le specie viventi e i loro habitat, infatti, secondo i pm “è un pericolo per l’equilibrio dell’ecosistema e il conseguente danno al patrimonio ambientale è incalcolabile”. Nel corso della conferenza stampa, il procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri e il suo aggiunto Dominijanni hanno descritto quella che dagli atti dell’inchiesta è un’organizzazione criminale, con proiezione transnazionale. “Parliamo di esportazioni di migliaia di capi di avifauna.– ha affermato il procuratore Bombardieri – Non si è trattato della repressione del singolo episodio di bracconaggio ma di aver puntato l’attenzione su un gruppo di persone ben organizzato. Questo ci ha consentito di procedere all’arresto”.