Le stantie dichiarazioni dei due principali partiti sconfitti alle recenti elezioni (Partito Democratico e Forza Italia) lasciano perplessi per l’incredibile supponenza di chi crede di poter ribaltare risultato e tendenza suonando sempre la stessa musica.
Dopo il colloquio con Conte (primo ministro in pectore), Maurizio Martina, l’attuale segretario reggente Pd facente funzioni (incaricato per ora dal partito di prendersi le bastonate che si meritava Renzi), dichiara con parvente preoccupazione e lento incedere, che non si può “scherzare” coi cittadini sulla formazione di un serio governo in un momento come questo, cioè proprio ora che (grazie a loro) è stato finalmente raggiunto un apprezzabile livello di ripresa. Evidentemente non si è accorto che la “ripresina” italiana c’è, ma non è merito del Pd. Se ne sono però accorti milioni di suoi elettori fuggiti precipitosamente da quel partito che ha ormai smarrito completamente la sua vocazione popolare.
L’altro partito “leader” della Seconda repubblica (il padronale “Forza Italia” di Berlusconi) ha raggiunto una non-maggioranza mettendosi insieme a Lega e a Fratelli d’Italia al solo scopo di costituire una coalizione capace di carpire i benefici elettorali dell’abominevole “Rosatellum” di matrice renziana, finito per fortuna nelle urne con un aborto naturale che ha lasciato senza seguito l’insidioso piano di Berlusconi per tornare a controllare la poltronissima di Palazzo Chigi.
L’esca elettorale poteva però funzionare ancora, soprattutto considerando che i due grandi avversari politici (Pd e 5Stelle) avevano deciso di correre da soli. Salvini ha esitato a lungo prima di cadere nella trappola del vecchio satiro meneghino.
Ma la trappola elettorale di Renzi (a firma Rosato), risultata disastrosa per il suo creatore (Renzi), ha funzionato male anche per Berlusconi, perché oltre a non dare maggioranza parlamentare alla coalizione non ha dato nemmeno maggioranza interna a Berlusconi (avendo Salvini preso più voti di lui), facendo così abortire (di fatto) insieme al piano per governare il paese anche quello per governare la coalizione.
Questo ha indotto un già titubante Salvini a tornare sui suoi passi e scegliere invece di unirsi a Di Maio per fare quello che il suo istinto politico gli chiedeva di fare per meglio rappresentare i desideri dei suoi elettori. Così quella pessima legge elettorale, rivelatasi nefasta per il suo ideatore (Renzi) è diventata invece la scappatoia provvidenziale per lui, per uscire da quella trappola partitocratica (le leggi elettorali proporzionali come il “Rosatellum”, consentono di fare e disfare coalizioni anche dopo che la legislatura ha iniziato il suo corso).
Quindi è possibile, teoricamente, che nei prossimi giorni si formi qualunque tipo di nuova maggioranza non solo dall’accordo dei 5Stelle con la Lega, ma anche ad altre maggioranze.
Ovviamente, essendo il nuovo accordo tra Lega e M5S un accordo per governare l’intera legislatura all’insegna del rinnovamento e dell’aiuto a quelle categorie di cittadini che sono scivolate in basso nella scala sociale per colpa dell’austerity e di politiche dissennate (a unico vantaggio dei ricchi e dei politici e loro collegati), volendo cambiare “passo” è inevitabile invertire quell’equazione e mettere finalmente l’interesse dei cittadini al primo posto e quello dei politici all’ultimo (come predico da anni).
E’ proprio quello che Salvini e Di Maio si sono ora impegnati a fare, ma che anche tutti gli altri partiti, piccoli e grandi presenti in Parlamento possono ancora impegnarsi a farlo in modo organico entrando nella coalizione.
Avendo deciso di abbandonare il vecchio criterio partitocratico di ragionare sulle coalizioni tra partiti, è possibile ora ragionare con più coerenza sul piano della vera democrazia privilegiando gli accordi su programmi maggiormente utili ai cittadini, piuttosto che sugli equilibri di potere. Tutto questo non preclude ovviamente la necessità di tenere i conti in ordine, del resto nessuna forma di democrazia lo preclude e anzi, nell’ultimo trentennio è stato proprio il prevalere degli interessi partitocratici a creare le condizioni per snaturare i conti della finanza pubblica allo scopo di guadagnare voti ai partiti.
Adesso è venuto di moda accusare i partiti (Lega e 5S), in crescita nel gradimento popolare, con i termini spregiativi di “populisti” (i partiti contrari al progresso e al riformismo globale), “pauperisti” (chi crea condizioni per la diffusione della povertà), “sovranisti” (chi vuole imporre una nuova sovranità sostituendola a quella esistente). Termini di cui spesso i cittadini non conoscono nemmeno il significato, ma che dovrebbero comunque rinviare ai mittenti aggiungendo nell’indirizzo il titolo che meritano: “politicanti”! Anche questo è un termine spregiativo ed è coniato esattamente per quella categoria di politici.
Ecco chi sono i populisti, non sono i politici che radunano la gente in protesta e chiede il voto contro gli egoismi e le vessazioni, ma sono i politicanti che sfruttano il potere democratico a proprio vantaggio (personale o partitico), lasciando ai cittadini solo le briciole e i debiti da pagare.