“In riferimento alla morte di Maria Rita Clerici deve ritenersi che la gravità dell’evento prodotto, particolarmente odioso, in quanto posto in essere nei confronti della madre, la durata della condotta, la ferma determinazione dell’azione criminosa, l‘assoluta mancanza di pentimento, non potendosi ritenere tale il ripensamento così definito dall’imputata, debbono escludere qualsivoglia forma di mitigazione del trattamento sanzionatorio”. È questo uno dei passaggi chiave contenuto nelle motivazioni della sentenza di condanna a 30 anni di reclusione, con rito abbreviato, per Laura Taroni, l’ex infermiera dell’ospedale di Saronno condannata per la morte della madre, Maria Rita Clerici e del marito Massimo Guerra. La donna era stata arrestata il 29 novembre 2016 insieme a Leonardo Cazzaniga, medico anestesista.
“La condotta – ha scritto il giudice del tribunale di Busto Arsizio, Sara Cipolla – non può non qualificarsi come terribile in ogni sua forma: nella ideazione, nella realizzazione e causa della morte e infine nella messa in scena finale ove dopo la morte della Clerici la si vede insieme al compagno, Leonardo Cazzaniga, simulare un tentativo tanto inutile quanto mortificante solo apparentemente volto alla rianimazione di un corpo ormai esanime ed ulteriormente martoriato, quello della povera Maria Rita Clerici. La condotta di Laura Taroni è terribile – ha sottolineato il giudice – perché è immotivata e originata da un odio irrazionale quanto ancestrale, atavico nei confronti di colei che ha avuto la colpa di sopravvivere al marito morto prematuramente. La sua condotta è terribile perché ha tolto ai suoi figli una presenza importante, non solo perché significativa nel loro percorso di crescita ma anche perché alla stessa erano sinceramente legati considerato che era la Clerici a occuparsi quotidianamente di loro”.
Il giudice ha spiegato anche perché non sono state riconosciute le attenuanti generiche: “Non può attribuirsi poi alcuna valenza positiva ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla dichiarazione confessoria della Taroni in merito all’omicidio della madre. Si è già detto esaminando la confessione resa dalla Taroni in ordine al reato delle ragioni per le quali non la si ritiene pienamente credibile. La contraddittorietà delle versioni rese dall’imputata è indicativa di una scelta processuale essenzialmente opportunistica volta esclusivamente a mitigare il proprio ruolo e la propria responsabilità a discapito del compagno”.
Anche sul decesso del marito Massimo Guerra non ci sono molti dubbi nelle motivazioni del giudice: “La determinazione criminale dell’imputata – scrive il giudice – nei confronti del coniuge è da ricercarsi nel tesissimo rapporto di coppia tra i due sfociato quantomeno a partire dall’estate del 2011 in un rapporto patologico caratterizzato dalla sottoposizione di Laura Taroni a pratiche sessuali estreme per volontà del coniuge. Le conversazioni intercettate hanno infatti permesso di delineare i contorni di un contesto familiare fortemente compromesso e di un rapporto di coppia lacerato dalle continue liti e tensioni. Gli elementi acquisiti agli atti consentono di ritenere provato che il rapporto strutturale tra Laura Taroni e il marito sia in profonda crisi da tempo, quantomeno dalla nascita del primo figlio avvenuta nel 2005 e che lo stesso dal 2011 fosse irrimediabilmente compromesso dai reciproci tradimenti come si evince dalle conversazioni telefoniche”. “Si evince dalle telefonate – ha insistito il giudice – anche a due anni di distanza dalla morte di Massimo Guerra di come lo descrivesse in maniera severa e critica, come un uomo dalla mentalità contadina, ristretta e soffocante, autoritario e violento. Laura Taroni sosteneva che Massimo Guerra per gelosia l’avesse costretta a ingrassare impedendole di avere una vita sociale. Aveva detto inoltre che il marito era una brutta persona e che senza i figli si sarebbe suicidata da tantissimo tempo”.