C’è chi vive sulle Alpi italiane, dove a causa dell’assenza di neve e ghiaccio vede minacciate proprietà e opportunità di lavoro legate magari ai servizi turistici e c’è chi abita in piccole isole al largo della costa tedesca del Mare del Nord, dove il pericolo arriva dall’innalzamento del livello del mare e dalle mareggiate che raggiungono aree più interne. Poi ci sono le famiglie delle aree meridionali di Francia e Portogallo, preoccupate per gli effetti delle ondate di calore e siccità sulla salute e sull’agricoltura. Un gruppo di famiglie di diverse nazionalità, tra cui una italiana, ritenendo che le proprie vite siano messe a rischio dagli impatti dei cambiamenti climatici, ha deciso di rivolgersi alla Corte di Giustizia europea facendo causa al Parlamento e al Consiglio europei, per denunciare l’inadeguatezza del target di riduzione delle emissioni di gas serra al 2030. Tra loro c’è anche la famiglia di Giorgio Elter, che racconterà la sua storia il 29 maggio, a Torino, in una conferenza che si terrà presso la sede di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta. L’azione legale della famiglia Elter, che parte oggi come le altre, è infatti sostenuta dall’associazione, che è membro di Climate Action Network Europe.
“L’Italia sta facendo troppo poco, e troppo lentamente, per ridurre le sue emissioni di CO2, come dimostrano i dati che riportano addirittura un aumento nel settore energetico”, ha dichiarato Edoardo Zanchini, vice presidente di Legambiente, secondo cui “è necessario rafforzare l’azione per il clima e innalzare gli obiettivi Ue 2030 in coerenza con l’accordo di Parigi”. Le ong di tutta Europa hanno già chiesto obiettivi climatici più elevati al 2030 al fine di mantenere l’aumento della temperatura entro il limite di 1,5°C come stabilito con l’accordo di Parigi.
COSA CHIEDONO LE FAMIGLIE – I ricorrenti ritengono che la riduzione delle emissioni nazionali di gas serra di un minimo del 40% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030 “sia inadeguato a far fronte alla concreta necessità di prevenire il rischio climatico e insufficiente a proteggere i loro diritti fondamentali di vita, salute, occupazione e proprietà”. Secondo queste famiglie “l’Unione ha il dovere legale di non causare danni e di proteggere i diritti fondamentali dei suoi cittadini”, mentre “non sta esercitando il proprio potere decisionale al meglio delle possibilità”. Ecco perché chiedono alla Corte di sancire che la questione del cambiamento climatico ricade nella sfera dei diritti umani e che la Ue ha la responsabilità di proteggere i loro diritti, quelli dei loro figli e delle future generazioni. Queste famiglie sono accompagnate nell’azione da numerose ong, da avvocati e scienziati e sono rappresentate dal professore di diritto tedesco Gerd Winter, dall’avvocato specializzato in diritto ambientale di Amburgo Roda Verheyen e dal legale londinese Hugo Leith.
LE STORIE – Tra queste famiglie c’è anche chi vive nei Carpazi rumeni, i cui mezzi di sostentamento e la cui occupazione tradizionale (agricoltura e pastorizia) sono messi a repentaglio dalle temperature più elevate e dalla penuria di acqua e c’è chi vive nel Kenya settentrionale, dove salute e istruzione sono danneggiate da ondate di calore, siccità e desertificazione.
“In 6 anni la nostra perdita di raccolto nella Provenza francese è stata del 44%, a causa degli impatti dei cambiamenti climatici che ci colpiscono sempre più duramente”, racconta Maurice Feschet. Lui è un nonno e fa parte di una famiglia francese che ha deciso di citare l’Unione europea. Ildebrando Conceição, invece, fa parte di una famiglia di apicoltori portoghesi. Parte da una considerazione che a molti suonerà come una frase fatta, dietro la quale però ci sono delle conseguenze: “Oggi non abbiamo più quattro stagioni, ma solo estate e inverno”. Dietro quello che può sembrare un luogo comune, però, c’è altro: “Questa situazione disturba l’attività delle api che impiegano più tempo per adattarsi alle variazioni climatiche. La diminuzione della produzione di miele, che è stata continua nel corso degli anni, ha ridotto il reddito della mia famiglia che deriva dall’apicoltura”.
Quello che succede alla famiglia di Ildebrando accade in tutto il suo Paese e non solo, perché non è solo un problema nazionale. E poi c’è la storia di Armando Carvalho, che ha perso la piantagione di alberi durante gli incendi boschivi nel 2017 in Portogallo. “Il 15 ottobre 2017 – racconta – il verificarsi di un evento meteorologico anomalo ha coinciso con un violentissimo incendio che ha colpito le proprietà e il patrimonio della mia famiglia. Ho deciso di essere parte attiva in questa causa perché spetta all’Unione europea fare da guida e agire in modo ambizioso per invertire ciò che sta accadendo in termini di impatti dei cambiamenti climatici sul nostro territorio”.