Politica

Governo, e se Paolo Savona fosse solo un pretesto?

Stando a quanto riferiscono i miei informatori sul fronte destro-destro della politica italiana, la rottura annunciata su Paolo Savona, ministro o meno, sarebbe semplicemente un pretesto, strumentalizzato per porre fine alla sceneggiata in corso; compreso il tentativo di varare un governo del professor Giuseppe “re Travicello” Conte (con la prospettiva di arrivare rapidamente al capolinea nonostante l’affidamento miracolistico a Padre Pio). E – così facendo – passare all’appuntamento che più interessa il duo dei politicanti in carriera Salvini & Di Maio: rifare le elezioni a ottobre. Altrimenti non si capirebbe l’impuntatura leghista, con tanto di like pentastellato, su un ultra-ottuagenario dai mille trascorsi nei palazzi del potere (a memoria: funzionario in Bankitalia, D.G. in Confindustria, presidenza del Credito Industriale Sardo, del Fondo interbancario di tutela dei depositi, della società Impregilo, Gemina, Aeroporti di Roma e Consorzio Venezia Nuova, CdA Tim e così andando); magari con qualche incidente di percorso, come quando da presidente del Consorzio Venezia Nuova dichiarò: «Il Mose? Semplice e affidabile».

Ora in tarda età, dopo una vita passata ad attaccare il carro dove vuole il padrone, questo colosso della scienza economica (ossia, esponente di un genere letterario come un altro) è giunto a maturare sentimenti di maniacale ostilità nei confronti dell’Euro. Da qui l’interesse maturato nei suoi confronti dalle parti di via Bellerio, al punto di rischiare una catastrofe nazionale.

Eppure Salvini aveva già a sua disposizione due odiatori della stessa risma: i pittoreschi Alberto Bagnai e Claudio Borghi. Perché allora andare a cercarne un altro nel modernariato accademico/notabilistico nazionale? La ragione potrebbe essere individuata nella provocazione perseguita: il deliberato intento di creare le condizioni per un’insanabile rottura con il concerto europeo e – simultaneamente – con il tutore dei difficili equilibri nazionali, Sergio Mattarella. Difatti, i due eurofobici cinquantenni che già bazzicano il pollaio leghista sono personaggi eminentemente locali. Quando l’anziano barone LUISS – già all’orecchio di La Malfa sr. e Cossiga – può vantare ben maggiore riconoscibilità internazionale. Dunque, un certamente maggiore impatto scandalistico. Per consentire – così – alla strana coppia, propugnatrice di un cambiamento che dimostra di ignorare già dai suoi preliminari (come conferma il programma/contratto assiemato affastellando generiche banalità), di realizzare quanto effettivamente sta a cuore ad entrambi i partner. L’operazione speculare di colonizzare i rispettivi territori elettorali di riferimento. Ossia accaparrare il voto residuo del Partito Democratico per Di Maio, prosciugare i bacini del consenso di Berlusconi per Salvini.

Valutazione che avevo anticipato ben due mesi fa (il 22 marzo) a Radio Anch’io, venendo bacchettato dagli altri partecipanti al talk radiofonico, fiduciosi nel varo di un governo dal meraviglioso futuro.

Quando l’attuale convergenza di interessi tra Lega e Cinquestelle è la prova palese che l’incontro tra di loro non può che essere temporaneo e opportunistico.

Sembra si possa dire che il nostro sistema politico stia riassumendo una configurazione bipolare. Specie se ha ragione Carlo Freccero quando ipotizza per Salvini un trend a raggiungere il 30% dei voti, che assommandosi a quelli incamerati da Di Maio disegnerebbe scenari in cui le due forze centrali derivano dalla mutazione genetica dei due movimenti (già) antisistema. Destinati fisiologicamente a entrare in competizione serrata tra loro per la conquista del centro governativo alle prossime scadenze elettorali. Il cui primo appuntamento sono le elezioni europee dell’anno prossimo.