“Siamo forse la prima generazione di laureati che ha scelto di ritornare in questo estremo lembo del Cilento. Non abbiamo la pretesa di ingrossare le file dei professionisti, degli impiegati e della borghesia parassitaria, ma la voglia di tracciare insieme il solco dei contadini contemporanei”. Antonio Pellegrino, 40 anni, vive a Caselle in Pittari e si è laureato in sociologia a Napoli. Claudia Mitidieri viene dalla Basilicata, è laureata in studi arabo-islamici e ha 34 anni come Dario Marino, che è originario di Sapri e si è laureato in scienze politiche. Marianna Falese, 35enne, vive in Cilento e ha deciso di restare nonostante molti le consigliassero il contrario. “La nostra America è qui”, ripetono i quattro, con il sorriso e la voglia di cambiare le cose.
L’accesso alla terra è ancora un tema irrisolto nel Mezzogiorno
Nel 2012 hanno fondato a Morigerati, in provincia di Salerno, Terra di Resilienza, una cooperativa che si occupa di agricoltura sociale, turismo esperienziale, innovazione e recupero di tradizionali pratiche civili dei territori rurali. “Le nostre esperienze di vita, di studio e di lavoro ad un certo punto hanno visto una convergenza collettiva fondata su una rinnovata visione della nostra territorialità – racconta Antonio –. Una tensione ideale che ci ha indotto a guardare la nostra terra, i nostri paesi e la nostra condizione socio-economica in una chiave storico-politica tutta da praticare”. È così che questo pezzo dell’Appennino meridionale, da sempre considerato motivo di svantaggio, è stato pensato in una prospettiva completamente diversa, in una visione contraria “all’immobilismo e al piagnisteo che caratterizza tanto il Sud Italia”.
Il giorno dell’accensione dei macchinari c’era gioia e soddisfazione, ansia e paura. “Siamo partiti in otto – ricorda Claudia –. Per un paio di anni siamo stati 21, tra progetti di agricoltura sociale, servizi di manutenzione agraria e soci lavoratori. Oggi siamo in 16, ma i soci fondatori, quelli che lavorano concretamente alla costruzione dell’impresa, siamo sempre stati noi quattro”. Negli anni sono state investite molte energie, senza sicurezze, con tanti sacrifici, alimentando continuamente le proprie motivazioni. I ragazzi della cooperativa hanno sfruttato così le proprie competenze per ricostruire e valorizzare le radici culturali e identitarie del territorio. Puntando su agricoltura, tradizioni e storia locale.
Sapevamo che il ritorno nella nostra terra sarebbe stato difficile, incerto e precario
Nel luglio 2017 è stato inaugurato il Mulino a Pietra Monte Frumentario, il nuovo impianto di molitura dei cereali nel comune di Caselle in Pittari, 1.947 abitanti in provincia di Salerno. L’obiettivo è lo sviluppo agricolo per la costruzione di un’economia locale solidale basata sulla produzione e la trasformazione di varietà di grano autoctone. Ma c’è anche un fine politico: “L’accesso alla terra è ancora un tema irrisolto nel Mezzogiorno – spiegano –. Per questo prestiamo grani locali a chi vuole seminare senza chimica di sintesi, e tra noi soci ci chiamiamo compari. Vogliamo affermare l’autonomia degli agricoltori e delle comunità del Cilento e della Basilicata”, continuano.
Amici e parenti hanno sempre sostenuto l’iniziativa, “anche se fanno ancora fatica a capire bene cosa facciamo”, sorride Claudia. Al mulino i quattro si alternano con turni organizzati, e oltre a macinare grano è stato aperto anche un punto vendita. In più la giornata si articola tra la ricerca di canali di distribuzione per le farine prodotte, la formazione di panettieri e pizzaioli che le usano regolarmente nelle proprie attività, la contabilità, l’amministrazione dell’impresa, la costruzione della filiera locale del grano.
Le condizioni di chi fa impresa al Sud sono simili a quelle di un Paese colonizzato. E i finanziamenti europei non è detto che aiutino
In un mercato dove le speculazioni e le frodi sulle produzioni alimentari bio, etiche e sostenibili sono troppe è difficile difendersi. Eppure oggi le farine nate in Cilento dalla cooperativa sono vendute in tutta Italia e spesso i clienti preferiscono arrivare al Mulino per conoscere i quattro imprenditori. Un consiglio per chi vuole tornare a lavorare la terra? “Studiare, e tanto! Cautelarsi dalle illusioni di finanziamenti. E fare i conti con la tasca e con il cuore – spiega Dario –. Non abbiamo santi in paradiso, le condizioni di chi fa impresa al Sud sono simili a quelle di un Paese colonizzato. E i finanziamenti europei rischiano di danneggiare piuttosto che aiutare”.
Prima di tornare in Cilento sia Claudia che Dario hanno passato un periodo all’estero, collezionando tra formazione, ricerca e stage, “tante e bellissime esperienze di lavoro non retribuito”. Eppure ci tengono a dire una cosa. “No, il nostro non è stato un ritorno alla terra. È stato un ritorno ai nostri paesi, un ritorno al Sud. Sapevamo che sarebbe stato difficile, incerto e precario: ma in tutti questi anni la terra è sempre stata un conforto per le nostre solitudini e le nostre paure. E il futuro lo si costruisce giorno per giorno. Perché l’agricoltura è sociale e da solo non la puoi fare”.