Cinema

Thor, Star Wars e Twin Peaks. La dura legge del sequel

Benvenuti nell’epoca della serializzazione. Dove l’arte cinematografica si è fusa (e tante volte pure confusa) con l’intrattenimento, mentre questo insegue le forme estetiche adattandosi ai tempi. Così, alla corte del nuovo pubblico bingewatcher spalmato sulle tv online, il sequel può arrivare persino all’ovvietà. Sulla sponda cinema, invece, dobbiamo molta accelerazione della serializzazione alla nuova trinità composta da Walt Disney Company, Marvel Studios e LucasFilm. Dove la Disney, di fatto, possiede le altre due come spirito poco santo.

Dieci anni fa ha inglobato la Marvel facendone una creatura multimilionaria che trasforma i suoi supereroi cartacei in pile di dollari e fagocita pubblico e miliardi facendo di franchise e cinecomic un sequenziale treccione chiamato cineuniverso (multiverso, nelle sue accezioni più multidimensionali e dalla caratura nerd). Con Avengers: Infinity War ancora in sala a raggranellare il suo bravo miliardo 844milioni e passa di dollari su scala globale, abbiamo il blu-ray di recente uscita Thor: Ragnarok, l’anello narrativo appena precedente al blockbuster del momento.

I protagonisti sono il dio del Tuono e Hulk, entrambi sperduti su un variopinto pianeta discarica sotto il comando di un Jeff Golblum in versione santone spaziale. Nei muscolosi extra tutto l’impianto scenico omaggia le visioni cromatiche di Jack Kirby, il primo grande disegnatore e autore Marvel. Il film risulta tra i più pop e spensierati della sterminata serie, paradossalmente criticato per la sua abbondante ilarità. In realtà solo un giocattolone defaticante rispetto alle ipotetiche ansie spaccamondo degli altri titoli. L’edizione home video presenta una miriade di documetarietti con il regista Taika Waititi, la sua esuberanza nell’illustrare le scene sul set e il suo personaggio interpretato in computer graphic animation, un guerriero di roccia dalla parlantina facile. Ma ci sono approfondimenti anche su tanti altri aspetti del film, dalle interviste agli errori ai ciak. A volte gli extra possono risultare più coinvolgenti del film stesso. Forse è questo un caso.

Sempre all’interno della trinità di cui sopra – vista la fresca uscita di Solo: A Star Wars Story, nuovo spin-off destinato ai grandi numeri – diamo uno sguardo all’ultimo cofanetto blu-ray di Star Wars: Gli Ultimi Jedi, o Episodio VIII. Qui l’idea di sequel ha un percorso di 41 anni (compiuti proprio il 25 maggio) giorno d‘uscita del primo Guerre Stellari, nel 1977. Loro, la Disney e l’accorpata LucasFilm, hanno deciso di sfornarne in continuazione finché il pubblico risponderà con grandi incassi, senza porre limiti narrativi. Chissà se in futuro idee più e meno strampalate o noie del pubblico porteranno a intrecciare filari di sequel anche tra Avengers e Star Wars in supergruppi intergalattici.

Intanto dall’Episodio VIII (primo senza l’asso Harrison Ford) si sperimentano davvero le nuove generazioni di attori e personaggi. Rian Johnson, regista venuto dalla serie tv Breaking Bad, ha portato aria nuova, non gradita da tutti tutti, ma negli extra vengono approfonditi i suoi concept di azione e dramma applicati alla nuova storia. I contenuti speciali ci fanno scoprire l’isola irlandese di Skellig Michael, una corona di rocce appuntite e senza tempo in mezzo al mare quasi sconosciuta fino ai riflettori del franchise.

Anche qui un minutaggio generoso con oltre 3 ore di curiosità. Si parla dei 120 set diversi in 100 giorni di riprese in un viaggio cinematografico alla Mr. Fog con accorpamenti scenografici e incastri degli effetti speciali; ma non mancala polemica di Mark Hamill sul suo anziano Luke Skywalker. Ci sono focus sui provini per le numerose comparse dalle mise più bizzarre, riflessioni su bellezza delle scene e utilizzo del grottesco su alcune nuove creature animate dai marionettisti; le evoluzioni del tracciato narrativo nei decenni, e poi il doveroso omaggio a Carrie Fisher, diventata icona con la Principessa Leia e scomparsa un anno fa.

Se fin qui tutto il concetto di serialità si accorpa inevitabilmente con la speculazione commerciale più ossessiva di pubblico e merchandising, David Lynch, a 25 anni dall’ultimo episodio, con il suo Twin Peaks ci riporta alla dimensione di film d’arte applicata al format televisivo. Andata in onda un anno fa, è uscita anche in home video la terza stagione del telefilm che negli anni 80 sconvolse il genere. Innestò quel seme di creatività oscura che molti cercano di imitare oggi tra i prodotti Netflix, Sky e Amazon vari, ma in pochi sono riusciti a cogliere e soprattutto a riproporre come lezione.

Lynch gioca con le bizzarre simmetrie tra realtà e un’altra dimensione, fascino e atmosfere esoteriche impigliate tra i gorghi di un’indagine. I suoi territori questa volta più che mai si mescolano tra visioni oniriche e mondi paralleli generando un prodotto più spesso metafisico che narrativo. Negli otto dischi i 18 nuovi episodi, più 6 ore di extra. Spiccano i dieci documentari/backstage firmati Jason S., amico del regista che coglie momenti semplici quanto affascinanti della lavorazione. Così Kyle McLahan, Sheryl Lee e David Patrick Kelly rincontrano il maestro tra una sigaretta alla lettura copione e una chiacchierata tra i boschi del set.

Escamotage visivi più artigianali e suggestivi che si scostano dall’iperrealtà attuale – ricercata invece con esasperazione degli effetti speciali dalle serialità Marvel e LucasFilm – portano sullo schermo l’inconoscibile. Le immagini ritraggono direttamente l’inconscio, il sogno, l’allucinazione, l’incubo. Insieme all’arte fatta serie tv c’è anche il solito autocompiacimento di un maestro amato, quanto spesso non completamente compreso. Ma il bello, per una volta, è proprio questo: non comprendere tutto quanto ma restare col brivido di un’allucinazione. Pardon, di una serie tv più cinematografica di tanto cinema.