L'uomo che Matteo Salvini vuole a ogni costo al vertice del ministero dell'Economia ha interpretato una parte fondamentale nella progettazione dell'opera pubblica più costosa di sempre. Era presidente del Consorzio Venezia Nuova - in quanto rappresentante di Impregilo - negli anni cruciali in cui il governo decise che andava fatta e sarebbe stata finanziata. E al Corriere diceva: "Non creerà nessun danno alla laguna"
VENEZIA – L’opera pubblica più costosa di sempre, ovvero il Mose che dovrebbe salvare Venezia dalle acque alte, porta l’impronta anche dell’economista Paolo Savona, che ha ricoperto il ruolo-chiave di presidente del Consorzio Venezia Nuova negli anni cruciali in cui il governo decise che andava fatta e sarebbe stata finanziata. Il ruolo dell’uomo che Matteo Salvini vuole a ogni costo al vertice del ministero dell’Economia è tutto da raccontare, perchè riflette i giochi di potere e gli interessi economici che si sono spartiti una torta che alla fine ha superato abbondantemente quota 5 miliardi di euro. E ancora il Mose non è realizzato, anzi secondo test e sperimentazioni i problemi di efficienza delle paratie mobili alle bocche di porto e i dubbi sui fenomeni corrosivi del mare sono più che mai attuali.
E pensare che il professor Savona, intervistato nel marzo 2001 dal Corriere della Sera, aveva manifestato grande ottimismo verso un progetto che era ancora in costruzione. “Le paratoie del Mose saranno una macchina semplice da gestire e affidabile nei risultati. Le nuove tecnologìe non lasciano alcun margine agli errori temuti, come quelli di un loro blocco o di un loro cedimento”. Una dichiarazione di fiducia nella scienza, ma necessitata, visto che Savona occupava la poltrona (che poi sarebbe stata di Giovanni Mazzacurati, il grande tangentiere veneziano) in quanto rappresentante del colosso delle costruzioni Impregilo di cui era presidente. Non avrebbe potuto dire nulla di diverso, visto che una settimana prima dell’intervista aveva cominciato un quinquennio cruciale per far passare il Mose dalle carte degli ingegneri, all’operatività dei cantieri. Si può dire che la missione fu compiuta, con l’aggiunta della lucrosa cessione delle quote di Impregilo, soffocata dai debiti, alla padovana Mantovani, diventata poi il crocevia del grande scandalo che si consumò in laguna, sulla pelle dei contribuenti italiani.
Lette oggi, dopo gli arresti che nel 2014 hanno sconvolto il panorama politico e imprenditoriale del Veneto (e non solo), le parole di Savona fanno, comunque, impressione. Fu presidente dle Consorzio dal 25 febbraio 2001 al 3 giugno 2005, subentrando a Franco Carraro, socialista presidente del Coni e sindaco di Roma, che aveva preso il posto di Luigi Zanda, divenuto poi esponente del Pd. Il Mose è sempre stato un’opera bipartisan, approvata in successione dai governi Ciampi, Amato e D’Alema. La prima pietra (una lapide lo ricorda) fu poi posata da Silvio Berlusconi il 14 maggio 2003. Ma la benedizione definitiva venne nel 2008 anche dal governo di Romano Prodi. Cosa disse Savona al quotidiano di via Solferino? “Le critiche sono prive di fondamento, il progetto delle opere mobili è tra i più studiati e più moderni del mondo”. Potrà causare danni alla Laguna? “Gli esperti ci hanno detto di no” fu la replica, che nel tempo è stata smentita dalle verifiche sul grado di abbassamento dei fondali. E poi l’epilogo: “Il Mose è un’opera indispensabile per la salvaguardia di Venezia”.
Le inchieste penali hanno poi dimostrato che fu un’opera indispensabile per i politici corrotti, per le imprese che facevano parte del Consorzio e per il cerchio magico di Mazzacurati. Che lo sia anche per salvare Venezia dalle acque alte non è ancora comprovato dai fatti. Comunque la presidenza Savona, se fu indenne dallo scandalo scoppiato dieci anni dopo, fu decisiva per il via alle opere. Già il 5 marzo 2001 ci fu una prima decisione del consiglio dei ministri presieduto da Giuliano Amato, convalidata poi dal Comitatone del 6 dicembre 2001, quando il premier era Berlusconi. E Savona, che in alcune intercettazioni telefoniche aveva manifestato ottime entrature nel governo di centrodestra, riuscì a centrare gli obiettivi che si era prefissato. Il Comitatone decise che il Magistrato alle Acque e il Cvn avrebbero redatto il progetto definitivo, non solo delle opere mobili (Mose), ma anche delle opere complementari e della conca di navigazione alla bocca di Malamocco. La consegna definitiva avvenne il 30 settembre 2002 e fu approvata dal Comitato tecnico del Magistrato alle acque l’8 novembre 2002. Il 29 novembre 2002 il Cipe assegnava un primo finanziamento da 450 milioni di euro per il Mose. Il 20 gennaio 2004 la Commissione per la Salvaguardia di Venezia dava parere favorevole al progetto definitivo, con prescrizioni. Ed ecco, nell’aprile successivo, la consegna dei lavori per gli interventi alle tre bocche di porto. Intanto il Cipe aveva ritoccato il finanziamento portandolo a 638 milioni di euro e il Tar (20-21 maggio 2004) aveva bocciato i ricorsi degli ambientalisti, sentenza confermata dal Consiglio di Stato il 17 dicembre 2004.
Mentre Savona seguiva lo sviluppo dell’iter, Impregilo, che era gravata dai debiti, realizzò un ottimo colpo nel 2004 quando cedette la sua quota nel Consorzio Venezia Nuova all’Impresa Mantovani della famiglia Chiarotto di Padova. Vennero pagati 57 milioni e mezzo di euro, che consentirono al gruppo di realizzare una plusvalenza di 55 milioni di euro. Mantovani significò poi Piergiorgio Baita, che ne divenne presidente e che è considerato il grande ideatore, assieme a Mazzacurati, dell’architettura delle tangenti pagate per far procedere la realizzazione del Mose.