Mettevano i cittadini delle classi più umili in posizioni di responsabilità, come se fossero dei politici di alto livello. Guardando alla fascia direttiva, era evidente che quasi il settanta per cento di questi provenisse dalla classe contadina. Urlavano il proprio odio contro gli alti ufficiali, perché calpestavano gli inferiori e i deboli. Ma ora che erano saliti al potere non solo calpestavano le persone, addirittura uccidevano milioni di contadini del proprio Paese. La chiamavano ‘la rivoluzione infuocata: la più progredita, gloriosa e prodigiosa’. Non sarebbero stati soddisfatti finché non avessero fatto diventare l’intero Paese quieto come una foresta adibita alle sepolture”.

Vann Nath, uno dei sette sopravvissuti degli oltre 14mila cittadini cambogiani torturati e uccisi nella famigerata prigione S-21, o Tuol Sleng, racconta la sua devastante esperienza nel memoir Il pittore dei Khmer rossi (prefazione di Lawrence Osborne, traduzione di Maria De Caro; Add Editore).

Capeggiata dal compagno Duch, uno degli sgherri più famosi e crudeli della cerchia di Pol Pot, nel tristemente noto campo di sterminio nel cuore dell’allora deserta e inquietante Phnom Pen (la capitale della Cambogia) era attivo un infernale meccanismo di tortura burocratica. I prigionieri venivano percossi con martelli, mutilati con seghe, messi ai ceppi, rinchiusi a decine in minuscole aule soffocanti, annegati in secchi d’acqua, picchiati, violentati, abusati.

Di questo racconta Vann Nath. Racconta e illustra perché la sua professione era quella di dipingere, arte che (anche se indotta) ha portato avanti durante il lungo periodo carcerario. Nato in un povero villaggio della provincia di Battambang un anno dopo la fine della Seconda guerra mondiale, l’autore è stato un venditore di zuppa di noodles, un monaco e – dopo i 20 anni e gli studi in una scuola d’arte – pittore di insegne, pubblicità, paesaggi. Una vita semplice, solo parzialmente scossa dagli stravolgimenti indocinesi: l’abdicazione al trono di Noradom Sihanouk, la guerra vietnamita, il colpo di Stato di Lon Nol, le bombe sul suolo nazionale per ordine di Richard Nixon. Una vita distrutta dopo il 1975, alla presa di potere dei ragazzini soldato dei Khmer rossi.

Nel 1978, mentre lavora in un campo di riso con altri familiari e contadini, Vann Nath viene arrestato, accusato di incomprensibili violazioni contro l’Angkar (l’invisibile regime) e condotto a S-21. Qui, il compagno Duch – freddo e pacato sadico – decide di salvare Vann Nath obbligandolo però a donare totalmente la sua maestria pittorica per dipingere la causa. È così che, attraverso fotografie di Pol Pot, Vann Nath si ritrova a rappresentare il folle potere dei Khmer rossi fino a salvarsi nel 1979, quando l’esercito vietnamita libera la Cambogia dai suoi aguzzini e ottiene il diritto di tornare a essere un normale cittadino e di guadagnarsi da vivere.

Il pittore dei Khmer rossi (corredato dai quadri di Vann Nath, quadri che ricordano Francisco Goya nel rappresentare la brutalità umana), è un intenso affresco di un’epoca e di una nazione logorata, dove il male diventa quasi inaccettabile quotidianità: “Ricordavo i cadaveri ammassati uno sopra l’altro e riuscivo a vedere ancora i volti festosi delle guardie mentre picchiavano le persone. Per uccidere non sprecavano neanche un proiettile: le colpivano in testa usando bastoni di legno o verghe di metallo. I prigionieri che venivano fatti uscire per essere uccisi erano già troppo affamati e deboli per camminare o lottare con gli assassini: venivano legati con delle funi e fatti marciare in fila come il bestiame.

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