Il caldo torrido, le zanzare e il rischio che i disagi continuino, ma al contrario, nel caso in cui arrivasse la pioggia. A Bari è emergenza dopo lo sgombero del Palazzo di Giustizia, perché nelle tre tende allestite nel piazzale di fronte alla struttura che ospitava gli uffici di pubblici ministeri e giudici si svolgono circa 200 udienze al giorno di rinvio dei processi penali. Tutte velocissime: aperte e chiuse con aggiornamenti a “date fantomatiche”.
Lo ha spiegato la giudice Rossella Calia Di Pinto, segretario Anm del capoluogo pugliese: “Oggi ho dovuto tenere udienza in una tenda con 40 gradi e tra le zanzare, rinviando ad una fantomatica data del 12 novembre in Corte di Assise”. Nonostante le tensostrutture – una da 200 metri quadri e due da 75 – siano state dotate di climatizzatori, infatti, questi risultano totalmente inutili quando all’interno si assiepano imputati, avvocati, pm e giudici.
Sull’area dove è allestita la tendopoli c’è stato in mattinata il sopralluogo del Genio militare per montate una diversa pavimentazione in vista del maltempo che si prevede nei prossimi giorni e che renderebbe impraticabile quella zona di terra e pietre. Lunedì sera, intanto, il procuratore Giuseppe Volpe ha emesso un nuovo provvedimento che organizza il lavoro del personale dipendente del palazzo di via Nazariantz, magistrati, cancellieri e polizia giudiziaria, limitando l’accesso all’edificio per lo svolgimento unicamente delle attività urgenti: turni esterni, sala intercettazioni, ufficio collaboratori di giustizia e deposito pratiche in scadenza.
Nel pomeriggio di lunedì, intanto, i magistrati e gli avvocati hanno sfilato in corteo con la toga sotto braccio per protestare contro le condizioni nelle quali sono costretti a lavorare dopo lo sgombero del Palagiustizia, dichiarato inagibile perché a rischio crollo. Volpe, definendo “squallida” la situazione, aveva spiegato negli scorsi giorni che il ministero della Giustizia “ha ricevuto informazioni ed inviti continui a rimediare ai problemi segnalati, da almeno quindici anni, se non più”.
Il pericolo infatti che era già stato rilevato nel 2010. All’epoca il pm barese Renato Nitti aveva affidato delle verifiche tecniche al Servizio di vigilanza sull’igiene e sicurezza dell’Amministrazione della Giustizia (Visag) e ai vigili del fuoco. L’allora procuratore di Bari, Antonio Laudati, aveva poi trasmesso gli atti alla procura di Lecce perché, essendo datore di lavoro e responsabile della sicurezza dei lavoratori dell’edificio, rischiava di essere indagato a sua volta.
I colleghi salentini decisero quindi di archiviare l’indagine e rinviarono gli atti a Bari. Da qui, ora, la decisione di aprire un nuovo fascicolo d’inchiesta per valutare eventuali altre responsabilità. Una storia giudiziaria, quella del palazzo di Giustizia di via Nazariantz, iniziata più di quindici anni fa. I due costruttori Giuseppe e Antonio Mininni, infatti, sono finiti al centro di due procedimenti penali, entrambi conclusi con condanne in primo grado e prescrizione dei reati in appello. Il primo processo per abuso edilizio, filone che ha portato nel 2002 al sequestro con facoltà d’uso dell’immobile (poi revocato nel 2008). Il secondo per frode in pubbliche forniture, truffa ai danni dell’Inail e del Comune e falso.