Troppi schiaffi alla supremazia continentale della Germania. Come quelli del luglio 2014, quando disse che “il compito della Bundesbank è quello di assicurare gli obiettivi di stabilità, non di partecipare al dibattito politico italiano”. O quello, ancor più irriguardoso, del settembre 2016: “L’Unione europea controlli il bilancio tedesco perché il surplus tedesco sta creando problemi a tutta l’Europa”, per ricordare poco dopo che “l’Europa è dei cittadini europei, non dei banchieri”.

Troppe dichiarazioni dal sapore antieuropeista. Come sostenere, nel febbraio 2016, che “non prendiamo lezioncine da nessuno dei nostri amici europei”. O avvertire, nel novembre 2016, che l’Europa deve fare “il suo mestiere, che è quello di investire nella crescita, non solo nell’austerity, nel futuro e non solo nella burocrazia”. Appena un mese prima l’avvertimento da cassandra: “L’Europa è a un bivio, rischia di non apparire più come il luogo della speranza delle prossime generazioni”. Quell’Europa “caratterizzata da un ‘frenetico immobilismo’” il cui rilancio è “oggi profondamente minato da discussioni di piccolo cabotaggio”.

Per arrivare agli ultimi strali ovviamente poco graditi a Bruxelles: “Chi vuole offendere l’Italia lo faccia al bar sport sotto casa sua, non nel suo ruolo istituzionale. Lavoriamo tutti per una Europa della democrazia e non della burocrazia” (marzo 2017); “l’Europa non è il posto dove venire a prendere ordini” (aprile 2017). E giù frasi frasi, contro l’austerità, perché “di rigore si muore” e contro gli “euro-burocrati” (luglio 2017). Per finire con dichiarazioni dal sapore separatista: “In Europa c’è chi ha pregiudizi anti-italiani” (luglio 2017). E non mancano gli ammiccamenti di politica estera che fanno pensare a posizioni filorusse: “Non ha senso parlare di sanzioni alla Russia” (ottobre 2016).

Manca ancora un soggetto cui attribuire queste frasi; e non è Paolo Savona l’irricevibile, bensì Matteo Renzi, che oggi chiede ai suoi di serrare i ranghi per difendere l’Europa. Confessate che qualcuno di voi ci era casato. Per quanto mi riguarda, invece, da ieri sera mi trovo nell’imbarazzante situazione di sentirmi vicino a Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Beh, forse sto esagerando. Diciamo che da piccolo prendevo sempre la parti degli indiani e non dei cow boy. E oggi sono in difficoltà a leggere e rileggere le giustificazioni sul no di Sergio Mattarella che giornali e social ripetono come un mantra: articolo 92 della Costituzione, il ruolo di garanzia del Presidente, i precedenti. Già, i precedenti. Come io mi trovo in imbarazzo a difendere due politici tanto lontani da me, così trovo ancor più imbarazzanti gli esempi che vengono presi e ripresi per giustificare, quasi normare, il gran rifiuto.

Si ricorda di Oscar Luigi Scalfaro, che nel 1994 fece una sonora pernacchia a Silvio Berlusconi che gli aveva proposto Cesare Previti alla Giustizia. Ma all’epoca Previti era indagato per corruzione in atti giudiziari (verrà condannato in via definitiva a sei anni) nell’ambito del processo Imi-Sir. Nominare ministro alla Giustizia un uomo sospettato di aver corrotto dei giudici non sarebbe stato forse un gran colpo di genio.

Viene poi Carlo Azeglio Ciampi, che nel 2001 si fa una grassa risata su Roberto Maroni proposto sempre alla Giustizia. Allora il Bobo nazionale (dopo Vieri) era indagato per resistenza a pubblico ufficiale. Qui la resistenza si era manifestata nel tentativo di mordere un polpaccio a un poliziotto che stava perquisendo la sede della Lega Nord nell’ambito dell’inchiesta sulla Guardia nazionale padana. Anche qui forse il paragone regge poco.

Il precedente più recente è poi quello del 2014. Giorgio Napolitano non gradiva il pm anti-ndrangheta Nicola Gratteri proposto da Matteo Renzi. Ufficialmente perché un magistrato in servizio non può assumere l’incarico di ministro della Giustizia (regola non scritta e raramente rispettata in passato). Altra vulgata lo voleva invece fortemente osteggiato da alleati come Angelino Alfano e quasi alleati come Berlusconi.

Dimenticavo l’esempio più datato. Quello di Sandro Pertini, che nel 1979 si oppose alla nomina di Clelio Darida alla Difesa avanzata da Francesco Cossiga. Confesso di ignorarne i motivi. Ma non credo fossero di così vitale importanza, visto che sempre Pertini non dirà alcunché alla nomina di Darida nei mesi e negli anni successivi dei governi Forlani, Spadolini e Fanfani.

Non so, sono in imbarazzo ripeto. In passato i presidenti della Repubblica hanno tranquillamente accettato ministri o capi di governo accusati di vilipendio dell’unità nazionale, di aver causato uno stato di “depressione del sentimento nazionale”, di vilipendio alla bandiera, di aver diffamato magistrati, di aver attaccato ferocemente la Carta costituzionale, la Corte, il Parlamento. Possibile che Savona facesse più paura di loro?

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