Solo il 5%. E’ la porzione dei video delle telecamere di sorveglianza delle metropolitane del Cairo legati al caso Regeni che è stato possibile recuperare dopo oltre due anni dalla morte del ricercatore e che la Procura generale egiziana ha consegnato ai magistrati italiani. Le possibilità che in quei 10 giga di filmati e frame, salvati grazie a un software ad altissima tecnologia, ci sia la chiave per arrivare alla verità sull’omicidio del giovane friulano sono quasi nulle ma chi indaga, anche sul fronte italiano, assicura sia stato fatto il possibile per recuperare le immagini.

Si tratta di registrazioni che è stato possibile recuperare perché solo “autocancellate” per non sovraccaricare la memoria dei server, ma non è stato possibile salvare quelle che sono state invece “sovrascritte” allo stesso fine. E’ stato infatti il 3 marzo, esattamente un mese dopo il ritrovamento del corpo di Regeni, che si é interrotta l’attività automatica di recuperabile cancellazione e quella dell’irrimediabile sovrascrittura. Tutto il recuperato è stato consegnato al pm Sergio Colaiocco, ma l’attenzione si concentra sulle immagini più prossime alle 19:51, momento dell’ultimo aggancio del telefono di Regeni a una cella nella stazione di Dokki. Dal Cairo gli inquirenti riporteranno anche i verbali di nuove recentissime audizioni cui sono stati sottoposti i nove agenti di polizia e National Security coinvolti nell’inchiesta anche se, fino a oggi, mai formalmente indagati dall’autorità giudiziaria egiziana.

Nell’esame che verrà condotto a Roma é previsto anche l’impiego di software per il riconoscimento facciale. I video trattati al fine di recuperare immagini rilevanti contengono riprese dell’interno ed esterno di “tutte” le stazioni della metropolitana del Cairo. Gli standard del recupero, compiuto da una società russa, vengono definiti “internazionali” per qualità. Nella capitale egiziana si è appreso inoltre che il prossimo vertice fra Procure si terrà al Cairo.

Il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e il procuratore d’Egitto, Nabeel Sadek, “hanno rinnovato – si legge in una nota congiunta – il loro impegno a continuare la collaborazione giudiziaria tra le due procure fino ad arrivare alla verità, individuare i colpevoli e rinviarli a giudizio”. “Nel prossimo futuro – prosegue la nota- sono previsti altri incontri tra le due parti per discutere degli esiti dell’operazione di recupero e degli ultimi sviluppi delle indagini”. Giulio Regeni sparì la sera del 25 gennaio 2016: il suo corpo martoriato fu trovato nove giorni dopo, lungo la strada che collega Alessandria alla capitale egiziana.

Gli inquirenti italiani sono convinti che il ricercatore di Fiumicello fosse attenzionato da polizia e servizi egiziani già settimane prima del sequestro. Le indagini sui tabulati telefonici hanno chiarito il collegamento tra gli agenti che si occuparono di tenere sotto controllo Giulio tra dicembre 2015 e gennaio 2016, e gli ufficiali dei servizi segreti egiziani coinvolti nella sparatoria con la presunta banda di criminali uccisi il 24 marzo 2016, a cui gli egiziani provarono ad attribuire l’omicidio (in casa di uno dei banditi vennero trovati i documenti del ragazzo). In quel gruppo di persone, nove in tutto, si nasconde la chiave di quasi due anni e mezzo di inchiesta.

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