Se fosse un’azienda qualsiasi, probabilmente sarebbe già fallita. Ma siccome una squadra serve più in campo che coi libri in tribunale, e il sistema calcio fa comodo a tutti (compreso lo Stato, che ha incamerato 10 miliardi di tasse negli ultimi 10 anni, da quella che può essere considerata a tutti gli effetti una delle prime industrie del Paese), ecco che il pallone italiano resta in piedi. Solo, sommerso dai debiti: nel 2017 l’indebitamento complessivo del mondo professionistico ha sfondato per la prima volta quota 4 miliardi di euro. I bilanci continuano a chiudere in perdita e ad accumulare passivi, ma basta qualche trucchetto per evitare il peggio e sistemare i conti.
4 MILIARDI DI DEBITI – I numeri vengono dal Report Calcio 2018, il censimento a 360 gradi del movimento pubblicato ogni anno dalla Figc. L’ultima edizione scatta la foto di un pallone malato: “Il paziente migliora ma ancora non gode di buona salute”, dice la prefazione fin troppo ottimistica, che però tradisce tutta la preoccupazione per alcuni dati in peggioramento. Quello più “allarmante” di tutti riguarda i debiti: solo la Serie A ne ha accumulati 3,6 miliardi, nei confronti di tutti, ma soprattutto delle banche. A parte qualche rara eccezione, le squadre stanno in piedi solo grazie alla benevolenza degli istituti di credito (i debiti finanziari sono ormai a quota 1,3 miliardi). Ma poi ci sono anche i debiti commerciali, quelli verso fornitori e dipendenti (una cattiva abitudine sempre più diffusa), persino quelli tributari nei confronti dello Stato (310 milioni di tasse dovute). E nonostante quest’esposizione da capogiro, le società continuano ad accumulare “copponi”: nel 2017 siamo arrivati complessivamente a 4,009 miliardi di euro, +18% sul 2016 che rappresenta l’aumento più alto dell’ultimo quinquennio.
IL “TRUCCO” DELLE PLUSVALENZE – A fronte di una situazione finanziaria sempre più critica, ci sarebbero anche dei segnali incoraggianti, su cui il Report prova a focalizzare l’attenzione. “Diversi dati confermano il trend degli ultimi anni di lenta ma positiva evoluzione”: ad esempio il rafforzamento patrimoniale (con la ricostruzione del patrimonio netto dai -12 milioni del 2015 agli attuali 301), che restituisce un po’ di solidità al sistema; oppure l’aumento del valore della produzione (+17%, fatturato da 3,3 miliardi totali), con le entrate che crescono più velocemente delle uscite. Anche qui, però, c’è il trucco, come ammettono anche i tecnici della Figc: “Il sistema calcio tende all’equilibrio reddituale grazie alla spinta dei trasferimenti di calciomercato”. La parola magica è plusvalenza: vendere un giocatore a un valore superiore di quello a cui è messo a bilancio, così da aggiustare i conti. Che però vuol dire anche scambiarsi calciatori a cifre spropositate, o ipervalutare giovani della Primavera per salvare le apparenze. Le società italiane si sono specializzate in questo genere di operazioni: nel 2017 record assoluto di 749 milioni di plusvalenze, +71,4% rispetto al passato. E nonostante questo, il sistema continua a perdere: -156 milioni di euro anche nel 2016/2017. L’unica buona notizia è che il rosso si è quasi dimezzato rispetto all’anno precedente (-372 milioni) e al picco del 2015 (addirittura -536 milioni).
PAGANO I PIÙ PICCOLI – Restano i soliti problemi: i ricavi da stadio sono fermi all’8% (senza impianti di proprietà, la differenza rispetto al resto d’Europa è abissale), quelli commerciali languono al 16%. Il sistema continua a dipendere per gran parte dai diritti tv, che da soli garantiscono 1,2 miliardi l’anno, pari a circa il 40% totale del fatturato. E da ciò si capisce l’importanza della partita in corso in Lega tra MediaPro (che sembra ormai uscita di scena) e Sky per l’assegnazione dei prossimi campionati. La crisi continua, insomma, riguarda tutti ma colpisce soprattutto i più piccoli: la Serie B sopravvive solo grazie ai soldi che le passa la Serie A (quasi 100 milioni l’anno), la Lega Pro ormai è al collasso, con una squadra di Serie C che perde in media 1,6 milioni a stagione. Quale azienda potrebbe stare in piedi con questi numeri? Nessuna. Infatti le squadre continuano a morire: l’anno scorso in 3 non si sono iscritte ai campionati, l’estate si avvicina e ci sarà un’altra carneficina. Tra tutte le categorie, giovanili comprese, solo nell’ultima stagione sono scomparse 325 società, quasi 2mila dal 2010. Persino i calciatori diminuiscono: -2,3% tra i professionisti, -3,5% tra i dilettanti. E il pallone si sgonfia.
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