Aveva acquistato la villa del boss di Cosa nostra all’asta. Prima l’avevano minacciato. Poi gliel’avevano sequestrata accusandolo di abusivismo edilizio. Un’accusa dalla quale il giudice Giuseppina Turrisi lo ha assolto perché il fatto non sussiste, ordinando la restituzione dell’immobile sequestrato. Cinque anni ci sono voluti perché la vicenda giudiziaria di Gianluca Calì arrivasse a un esito positivo. Una vicenda paradossale quella dell’imprenditore siciliano, più volte minacciato da Cosa nostra perché si è rifiutato di pagare il pizzo agli estorsori della piovra. Calì, infatti, era finito a giudizio dopo aver acquistato e iniziato a ristrutturare una villa vicino Casteldaccia, in provincia di Palermo: due piani da 160 metri quadrati l’uno. “L’idea era quella di trasformarla in una struttura ricettiva, che potesse creare un minimo di ricchezza per la nostra terra, dare lavoro e incrementare l’indotto turistico della zona”, spiegava l’imprenditore al fattoquotidiano.it nel 2013.
Quella villa però non è una casa qualsiasi: apparteneva allo storico padrino di Bagheria Michelangelo Aiello e al suo sodale Michele Greco, il Papa di Cosa Nostra. Non era mai stata confiscata perché era ipotecata ed è quindi passata nelle disponibilità di un istituto di credito che lo mette all’asta. “Poco prima di presentare la mia offerta, ricevo la visita di alcuni personaggi”, raccontava sempre Calì. Si presentano come “eredi dei precedenti proprietari” e chiedono all’imprenditore di “lasciar perdere quella casa”. “Risposi di ripetere le loro parole davanti ad un giudice, dopo di ché mi aggiudicai la casa”.
L’8 febbraio del 2013, però, la villa che fu dei boss viene sequestrata da due ispettori della Forestale. “Stato grezzo e in corso d’opera”, scrivono nel verbale di sequestro, come se la costruzione fosse stata costruita di sana pianta in maniera abusiva. Così non è, perché quella villa esiste dal 1965, e Calì stava solo attuando dei lavori di ristrutturazione. Fa opposizione al sequestro e il 4 marzo ritorna in possesso dell’immobile. Gli ispettori della Forestale però non demordono. E il 15 marzo sequestrano di nuovo la villa con le stesse motivazioni. A processo finiscono Calì e suo fratello, che fa l’ingegnere e al quale l’imprenditore aveva affidato i lavori di ristrutturazione. Si chiama Alessandro Calì e da presidente dell’ordine degli ingegneri ha radiato dall’albo Michele Aiello, il ricchissimo prestanome di Bernardo Provenzano. Entrambi oggi sono stati assolti. E oggi Calì può tornare ai suoi piani originari. “Desidero che questa villa dal passato funesto diventi una struttura ricettiva/turistica per accogliere ospiti da ogni parte del mondo così da far valorizzare la Sicilia per ciò che è e ciò che merita. Voglio far passare il messaggio che la Sicilia non è più solo terra di mafia ma anche di gente perbene che si ribella e lotta per far valere i propri diritti”, dice l’imprenditore.