“Giorgio Napolitano mi chiese di cambiare due ministri”. L’altra sera a Otto e mezzo, Matteo Renzi ritira fuori una nota vicenda. E adesso che c’entra?
Storia recente: nel 2011 Napolitano, dopo la fine del governo Berlusconi, non scioglie le urne e a governare ci va Mario Monti. Due anni dopo Pier Luigi Bersani piange la “non vittoria” elettorale. Enrico Letta diventa premier di un governo di larghe intese e poi viene “defenestrato” da Renzi. Il quale conduce un corpo a corpo con l’allora presidente della Repubblica e accetta svariati suggerimenti. Non solo Andrea Orlando invece di Nicola Gratteri alla Giustizia, ma anche Pier Carlo Padoan all’Economia, per dire. È solo l’inizio: per tutti gli anni in cui governa, Renzi a parole rottama, rompe, rovescia i tavoli, a fatti media, magari malamente, cerca compromessi.
Il Pd sotto la pressione dei presidenti della Repubblica più volte si aggiusta, si lascia convincere. Intanto, lentamente, perde la sua “ragione sociale” e la sua base elettorale. Domenica sera, lo scontro sul nome di Paolo Savona al Mef pareva frontale: da una parte Sergio Mattarella, dall’altra Matteo Salvini che si trascinava dietro anche Luigi Di Maio. Ora, il leader del Movimento è passato dalla richiesta di impeachment all’asse con il Colle. Parola d’ordine: “Spostare Savona”.
Che farà Salvini? Il leader leghista ha appena fatto il record assoluto di ascolti a Di martedì, è in ascesa costante nei sondaggi. Mentre macina comizi, non si risparmia una diretta Facebook. Tratta con tutti, parla con chiunque. Alterna la ruspa e la felpa. Un giorno chiede il governo, uno il voto. Anche se a questo punto è chiaro a tutti che preferirebbe andare alle elezioni. O, se proprio non ci riesce, governare ma alle sue condizioni. Il punto è che Salvini si sta ponendo come un leader completamente diverso “strutturalmente” da quelli degli ultimi anni: se un segretario del Pd aveva tra i suoi “obblighi” non scritti quello di giocare di sponda con la presidenza della Repubblica, il capo del Carroccio appartiene a una tradizione politica del tutto diversa. Salvini guarda all’Europa di Viktor Orban e di Marine Le Pen, accarezza l’idea di guidare una destra di rottura. È tosto, ostentatamente spregiudicato, con alle spalle un partito che è (ancora) un esercito compatto, piuttosto che un guazzabuglio di bande, e ha un braccio destro come Giancarlo Giorgetti, dialettico, ma leale.
Insomma, l’esasperazione del conflitto con Mattarella fa parte del gioco di Salvini. Di più: anche del suo progetto politico. Per vedere fino a che punto può arrivare, prima di incartarsi pure lui, all’alba dell’89° giorno di gioco dell’oca, non resta che aspettare la prossima puntata, in onda su tutte le reti nazionali. Magari, andando avanti così, ci sarà pure un’altra svolta epocale: i diritti della crisi li compra Netflix e li manda in diretta streaming.