Poiché sondaggi concordi prospettano una larga maggioranza a M5s e Lega, con quest’ultima che sottometterebbe quel che resta del berlusconismo e del post-fascismo, non sarà forse il caso che noi italiani di minoranza cominciassimo a domandarci se davvero è inevitabile affidare le nostre sorti alla sommatoria tra un partito malmesso come il Pd e i partitini di sinistra, decorosi ma minuscoli?

Allo stato tra noi minoritari circolano due ipotesi, opposte ma in fondo concordi nell’accettare come inevitabile la condizione di perdenti. La prima soluzione suggerisce che Matteo Renzi e gli oppositori di Renzi depongano le armi, uniscano le forze e vadano alla guerra protetti dall’artiglieria della stampa amica. Nella migliore delle ipotesi Renzi e la sua consorteria accetterebbero un qualche compromesso, perfino lasciare il passo ad un leader più credibile e capace come Paolo Gentiloni o Carlo Calenda. Suona ragionevole, ma è assai improbabile che un patto di non belligeranza nel Pd e nella sinistra basterebbe da solo a spegnere il vento nelle vele di Lega e M5s.

Con Renzi e i renziani al suo fianco, nelle prossime elezioni al massimo il capo dell’assemblaggio progressista potrebbe gestire una dignitosa sconfitta, certo non scrollare dalle spalle del maggior azionista, il Pd, il peso di un’immagine che lo vuole partito dell’establishment, quando non di opache congreghe dedite soprattutto alle convenienze proprie e del parentado. Lo stigma fa torto a tanti quadri onesti e competenti: ma questo è irrilevante. Quel che importa è la percezione largamente diffusa nell’elettorato, di una coincidenza tra il Pd ed una classe dirigente considerata mediocre e intrallazzona.

Per smentirla occorre ben altro che strillare contro i barbari ad portas o affidarsi al giornalismo collaterale. Quest’ultimo, anzi, tende a produrre effetti-boomerang. Lo zelo col quale persegue la character assassination degli avversari, in primis di Beppe Grillo, è perfino controproducente, non solo perché spesso si affida a pretesti inconsistenti, ma soprattutto perché stride con la considerazione tributata fino a ieri a figure modeste come i Renzi e gli Alfano, o con l’ossequio tuttora riservato ai poteri incrociati con l’editoria. Non meno dannose sono le affettuose e soffocanti premure con le quali quella stampa amica fornisce al Pd bussole e argomenti per orientarsi e scegliere amici e nemici, inevitabilmente in accordo con le propensioni proprietarie. Valga in proposito il consiglio che Ezio Mauro impartì a Renzi due anni fa, al tempo in cui Repubblica e l’allora premier-segretario erano totalmente allineati: imita Blair e Manuel Valls, “che innovano la politica rispettando storia, valori, tradizione”. Senza dubbio Renzi è stato blairiano e vallsiano come ci si attendeva da lui: e mentre Valls conduceva il Ps francese all’irrilevanza, con passo altrettanto sicuro l’italiano ha portato il Pd sulla medesima china. Morale: una sinistra padronale, patrocinata e ispirata dal giornalismo di scuola Fiat, non ha un grande futuro.

L’altra ipotesi che circola tra noi minoritari emana da quella sinistra pura e dura che nel marasma del Pd intravede la possibilità di ‘tornare nel popolo’, con lo slancio solidale e morale che si attribuisce al Pci di Enrico Berlinguer. Così riformulata, la sinistra sarebbe in grado di contrastare Lega e M5s? In teoria potrebbe attrarre quella larga parte di elettorato pentastellato, secondo stime il 45%, che proviene alla lontana dall’area comunista e ne conserva alcune vocazioni, dallo schema a ruoli fissi che contrappone il popolo, sempre virtuoso, contro l’élite, mai innocente, fino ad un pacifismo molto compreso nell’esibizione della propria virtù. Ma anche se molti elettori 5 stelle hanno vissuto con disagio l’alleanza con la Lega, pare difficile convincerli a tornare indietro. E dove, poi? Certo non nel Pd, zavorrato com’è da Renzi e dai renziani. E neppure nei partitini della sinistra, per quell’impressione di datato e di irrilevante che ne pregiudica le sorti. Più probabile che, se nutrono dubbi, questi elettori rinuncino a votare.

E allora? Compiangersi, aspettare in finestra che l’estenuante transizione cominciata nel 1989 finalmente si rapprenda in una geografia politica nuova, in alternative meno fumose di quelle oggi offerte da culture politiche tipicamente transitorie come i populismi? Chi di noi minoritari rifiutasse l’attendismo dovrebbe partire da tre considerazioni. La prima: Lega e M5s vincono perché sono percepite come forze rivoluzionarie, anti-sistema. Che poi lo siamo concretamente è secondario rispetto alle inclinazioni di un elettorato oggi assai bendisposto verso chi promette di rovesciare il tavolo. Di conseguenza anche il più sobrio riformismo avrebbe scarse possibilità di successo se non fosse in grado di trasmettere un qualche slancio rivoluzionario, un’attitudine immaginifica, un radicalismo magari assennato ma trascinante, radicalmente diverso nei contenuti dall’estremismo degli avversari.

Seconda considerazione: tutti i grandi partiti italiani in parte si somigliano. Mancano di un sistema di idee coerente, anche questo tipico dei populismo, piluccano a destra e a sinistra secondo convenienza, e subiscono l’egemonia delle stesse mitologie (per esempio lo ‘scontro tra civiltà’ e culturalismi consimili, di solito puntati contro musulmani e migranti). Dunque una forza alternativa a Lega e M5s dovrebbe presentarsi con un pensiero originale, magari esterno alla simmetria vigente destra-sinistra. Per formulare un pensiero anticonformista che contenga le premesse del cambiamento non occorre fare grandi sforzi, basta cercare ispirazione nel pensiero liberal degli ultimi lustri, vivacissimo (per esempio la critica al ‘capitalismo reale’ espressa da Ronald Dworkin, Robert Reich o Bruno Trentin). Ma occorre stabilire lo spazio per una discussione libera, cioè non condizionata da interessi legati a consorterie o reti economiche.

Infine: oggi centro-sinistra e sinistra sommati non arrivano neppure ad un quarto dell’elettorato, e la tendenza punta verso il declino. I rinforzi e il sangue fresco necessari per contrastare Lega e M5s potrebbero arrivare dai milioni che nelle ultime elezioni non hanno votato. Questi italiani da tempo ritengono di non avere più punti di riferimento in Parlamento e nel dibattito pubblico, da cui di fatto sono spariti. Sono, siamo, la tribù scomparsa. Che pure potrebbe riapparire se solo trovasse un’offerta politica un po’ più appassionante di quanto si trovi oggi in Parlamento e sui giornali.

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