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Scala di Milano, alla Prima arrivano gli Unni con “Attila” di Verdi. Poi Woody Allen porta Puccini (ma anche viceversa)

La prossima stagione lirica del Piermarini alterna opere per appassionati (Strauss e Musorgskij) e altri più pop (la Traviata con la regia di Liliana Cavani, la Cenerentola di Rossini). Un cartellone dai successi assicurati (Bolero di Bolle) e soprattutto dai grandi ritorni: da Mario Martone ai "Masnadieri", che mancavano dal 1978 fino al sovrintendente Pereira che torna attore (parlante). Il direttore Chailly prosegue l'opera di recupero di Puccini con la "Manon Lescaut", mentre la star è il regista di Manhattan con il "Gianni Schicchi"

di Beatrice Manca

Alla Prima della Scala arrivano gli Unni: Attila di Giuseppe Verdi aprirà la prossima stagione lirica del Piermarini. Scelta simbolica, forse: nel 1848 era in replica a teatro nel quando cadde Metternich, la sera prima dell’inizio delle Cinque Giornate di Milano, primo battito del Risorgimento e seme dell’Italia unita. Non è più solo un affare da melomani, la Prima della Scala. Anzi. Trasmessa in diretta su Rai1 ormai da un paio d’anni, è diventata un appuntamento di costume irresistibile. Il direttore musicale Riccardo Chailly e il sovrintendente Alexander Pereira hanno curato un cartellone che piaccia tanto agli appassionati più esperti quanto a chi si avvicina al teatro per la prima volta. Un repertorio classico che rispolvera versioni originali e meno note delle opere più celebri. Qualche virata pop, grandi debutti e produzioni importate da Londra e Los Angeles. Dal Puccini di Woody Allen a Salieri. Dalla Traviata di Liliana Cavani (così amata da essere riproposta anche quest’anno) a Mario Martone che si cimenta con il teatro russo. Sulle punte, la Virginia Woolf di Alessandra Ferri e il Bolero di Roberto Bolle.

Al maestro Chailly, si sa, piace il primo Verdi: dopo la Giovanna d’Arco che ha aperto la stagione nel 2015, ora è la volta di Attila, composta nel 1846. L’allestimento è di Davide Livermore, che a dispetto del cognome anglofono è torinese. Nel ruolo di protagonista, il basso russo Ildar Abdrazakov, applauditissimo lo scorso anno per l’Andrea Chénier. La stagione che si inaugurerà il 7 dicembre sarà la stagione dei grandi ritorni. Michele Mariotti dirige I masnadieri di Verdi, apparsa per l’ultima volta al Piermarini nel 1978, quando avrebbe dovuta dirigerla Gianandrea Gavazzeni che, malato, fu sostituito da un venticinquenne al debutto: proprio Chailly. Colpo di scena come spesso accade in teatro, anche a sipario chiuso. E poi Puccini, grande passione del direttore musicale, che vuole eseguirne tutto il repertorio sul palco scaligero. Manon Lescaut torna alla Scala nella sua prima versione, quella del 1882. Un’operazione di recupero che Chailly ha già fatto con la Fanciulla Del West e con la Madama Butterfly. E che ritenterà il prossimo anno, quando Tosca aprirà la stagione del 2019.

“In un panorama ossessionato dalle novità è importante riprendere e ricordare le opere che hanno saputo entrare in repertorio”, ha commentato il sovrintendente Pereira. Anche per lui un ritorno (alle scene) nel personaggio parlante di Der Haushofmeister in Ariadne Auf Naxos di Richard Strauss. E poi Mozart, Donizetti, Rossini: per il belcanto torna La Cenerentola nell’allestimento di Jean-Pierre Ponnelle, diretta da un rossiniano doc come Ottavio Dantone. Si era vista per l’ultima volta alla Scala nel 2005.

Agenda alla mano, altre date da segnare: a gennaio La Traviata diretta da Myung-Whun Chung, nell’allestimento – già visto in cartellone – di Liliana Cavani, che si affida a due premi Oscar per le scenografie (Dante Ferretti) e per i costumi (Gabriella Pescucci). A maggio, il debutto di Die Tote Stadt, per la regia di quel Vick che fece morire Mimì di overdose in una chiacchieratissima Bohème. A settembre Il Rigoletto, che ha il volto – e la voce – di Leo Nucci, portentoso nei suoi 76 anni. E poi, dal grande repertorio russo, la Chovanscina di Musorgskij, firmata da Mario Martone, che l’anno scorso ha curato la blasonato regia della prima, l’Andrea Cheniér.

A luglio, salta all’occhio una combinazione inaspettata: Prima la musica poi le parole di Antonio Salieri (che la leggenda – ma solo quella – vorrebbe arcinemico di Mozart) in dittico con il Gianni Schicchi di Woody Allen. E il regista newyorkese, ha annunciato Pereira per la golosità dei giornalisti, verrà a Milano in teatro. Nell’allestimento dell’Opera di Los Angeles la Firenze dell’opera comica di Puccini diventa un imprecisato meridione del Dopoguerra: gli uomini con la coppola e il panciotto, le donne con la veletta o il grembiulone a fiori. Un po’ Il Padrino e un po’ Totò.

E poi ovviamente i concerti, le date per bambini, il balletto: per la prima volta in Italia Lo schiaccianoci nella versione di Balanchine. C’è anche l’etoile Alessandra Ferri, che porta in scena una Virginia Woolf di produzione londinese.  A giugno, la Bella Addormentata riletta da Nureyev. E ovviamente rivedremo anche Roberto Bolle, ormai divo consacrato del piccolo schermo, oltre che del palcoscenico. Il suo Bolero, riproposto a grande richiesta, si annuncia già un tutto esaurito.

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