“Ci sono parti di programma che mi vanno benissimo, come la parte sulla corruzione e la lotta all’evasione fiscale. Ma lo strumento è sbagliato, si chiama pace fiscale ma si parte dall’ennesimo condono, tra l’altro molto molto generoso, credo sia un errore. E c’è questa idea fondamentale che per crescere di più si deve fare più deficit pubblico, ma per un paese che ha un debito pubblico già alto è troppo rischioso”. Così Carlo Cottarelli, fresco di rinuncia all’incarico di formare un governo tecnico, dal Festival dell’Economia di Trento ha commentato i contenuti del contratto di governo tra Lega e M5s.
Ma ha attaccato anche la Germania, la cui “legge di bilancio per il 2019 fa male all’Italia e fa male all’Europa, perché per il quarto anno consecutivo continuano ad avere un surplus in paese dove debito è già sceso, stanno esagerando”. I Paesi Ue, ha aggiunto, hanno “il diritto di criticare ma con i dovuti toni, quando ci sono “peccati capitali come quelli di cui si parla. Non ho niente in contrario sul fatto che si vada in Europa a dire che dobbiamo difendere meglio il nostro interesse. Spesso non lo abbiamo fatto bene in Italia perché spesso ci muoviamo in ritardo rispetto alla Francia e alla Germania. Ma dobbiamo farlo all’interno dell’Unione europea e alla zona Euro”.
Per quanto riguarda il contratto di governo l’ex capo del dipartimento Affari fiscali dell’Fmi, ex commissario alla spending review dei governi Letta e Renzi e oggi direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’università Cattolica ha di nuovo criticato la flat tax, “non una buona idea in termini di distribuzione del reddito, penso che sia necessario un sistema di tassazione progressiva, senza raggiungere gli eccessi del Regno Unito o della Svizzera degli anni 70″. Ma ha ribadito che “non è solo la flat tax a poter fare crescere i costi. Quella e le altre cose che ci sono nel programma – ha ricordato l’economista – secondo le nostre stime comportano un aumento di deficit tra 110 e 125 miliardi di euro, a regime. Ovviamente non faranno tutto subito, ma qualcosa dovranno fare. Io spero si concentrino invece sulle altre parti del programma, soprattutto sulla semplificazione della burocrazia. Perché è un costo fondamentale per le imprese italiane. Se si riducesse, noi diventeremmo più competitivi e cresceremmo di più”. Le priorità per l’esecutivo saranno comunque “dal punto di vista stagionale il problema degli sbarchi” e “credo poi ci sia da preparare una legge di bilancio. Lì il problema è che io credo ci sia da puntare a una riduzione del deficit”, appunto, “mentre penso che loro avranno un aumento, soprattutto rispetto agli impegni presi con l’Europa”. “Non conosco paese al mondo che sia riuscito attraverso più deficit poi ad arrivare a ridurre il rapporto tra debito pubblico e Pil”, ha aggiunto. “Vediamo se queste idee funzionano”.
Visti i contenuti del contratto di fronte all’offerta di un incarico da ministro nel governo Conte – che “non c’è mai stata” – “non avrei accettato perché ho detto che è un onore servire nel governo italiano, però bisogna essere d’accordo su certi obiettivi“, ha chiarito Cottarelli. Che ha raccontato: “Quando il presidente Mattarella mi ha chiamato avevo appena finito di correggere i compiti dei miei studenti (è visiting professor in Bocconi, ndr) e mi accingevo a vedere una puntata di Breaking bad“.
Quanto alla durata del governo gialloverde, secondo Cottarelli “dipende da quello che diranno e faranno. Sarà difficile realizzare tutte le promesse elettorali e poi dipende dal fatto che l’economia italiana possa essere colpita da shock. Noi siamo ancora fragili, dobbiamo muoverci per rendere l’economia più robusta, evitando uno shock dall’esterno”. La cosa importante “sarà di stare attenti, non solo a quello che fanno, ma quello che dicono, soprattutto rispetto alla questione della partecipazione dell’Italia nell’area dell’euro che per me deve essere fuori discussione visto ciò che è successo negli ultimi giorni”.
“Sono fermamente convinto che sarebbe un errore per l’Italia uscire dall’euro, sia perché sarebbe difficile il processo di uscita sia perché non è che se usciamo possiamo fare quello che vogliamo perché stampiamo soldi e diventiamo tutti ricchi”. Tra l’altro uscire dall’euro non serve “nemmeno per recuperare competitività, obiettivo che si può raggiungere “facendo tante riforme” e “riducendo i costi per le imprese” a partire da quelli della burocrazia, visto che per le Pmi solo compilare moduli ha un costo di “31 miliardi di euro l’anno, quasi il 2% del Pil, è come una seconda tassa occulta, visto che le tasse sui profitti delle imprese valgono circa 35 miliardi”.
Sul nuovo ministro dell’economia Giovanni Tria giudizio positivo ma diversità di vedute: “L’ho conosciuto già qualche anno fa quando facevo il commissario alla revisione della spesa. Credo sia un buon economista, magari non abbiamo delle idee che coincidono in tutto ma l’economia non è una scienza esatta quindi ci stanno i pareri differenti“.