Era stata definita “la scoperta del secolo” la prima rilevazione delle onde gravitazionali, annunciata al mondo l’11 febbraio 2016 a cento anni dalla pubblicazione della Relatività generale di Albert Einstein. Poi, un anno e mezzo dopo, una staffetta senza precedenti nella storia della scienza (formata da 70 telescopi) aveva permesso di ascoltare l’eco delle onde gravitazionali dalla collisione di due stelle di neutroni (e non dai buchi neri, come nel primo caso). Ora a questo puzzle della fisica si aggiunge un altro tassello. Da quella stessa collisione avvenuta il 17 agosto 2017 è stata osservata la nascita del più piccolo buco nero mai visto, con una massa pari “solo” a 2,7 volte quella del Sole.
Il gruppo di ricerca dell’Università americana Trinity di San Antonio, in Texas, coordinato da Dave Pooley, ha anche ipotizzato che ci sia un legame tra la riduzione dell’emissione di raggi X e la nascita del buco nero. I telescopi XMM Newton dell’Agenzia spaziale europea (Esa) e Chandra della Nasa, infatti, hanno osservato questo calo durante la collisione delle due stelle di neutroni. I ricercatori texani, la cui ricerca è stata pubblicata sulla rivista The Astrophysical Journal Letters, hanno quindi pensato che la successiva nascita del mini buco nero sia in qualche modo collegata a questo fenomeno.
A notare per primo l’attenuazione dei raggi X (ma senza porla in relazione ai black holes) è stato il gruppo italiano coordinato da Paolo D’Avanzo, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), i cui risultati sono stati pubblicati su Astronomy & Astrophysics. “Abbiamo visto che l’emissione di raggi X dopo un iniziale crescendo di 100 giorni si attenua”, ha spiegato all’Ansa D’Avanzo. “Nella nostra ricerca ci siamo concentrati su un aspetto diverso” dai buchi neri, ha concluso lo scienziato, cioè “capire se l’emissione sia focalizzata in un unico getto o avvenga in tutte le direzioni“.