Il fatto che il nuovo ministro dei Trasporti non abbia alcuna esperienza nel settore non è del tutto irrilevante. L’argomento che anche in precedenza moltissimi ministri dei trasporti non ne sapevano nulla (l’ultimo ministro, Graziano Delrio, era medico endocrinologo) non è consolatorio: la politica dei trasporti negli anni passati è stata nel complesso conservatrice ed inefficiente. In particolare Delrio, dopo una iniziale eroica affermazione di voler valutare tutto in modo trasparente, con la svolta populista di Renzi si allineò immediatamente, e approvò un faraonico piano di investimenti nei trasporti da 123 miliardi di euro (forse di più), soprattutto ferrovie, la modalità di gran lunga più onerosa per le casse pubbliche, senza nemmeno una singola valutazione, e nemmeno un quadro finanziario del settore. Berlusconi con la sua Legge Obiettivo è apparso un dilettante, al confronto.

E qui emerge come luminosa l’unica dichiarazione pubblica sul settore fatta da Danilo Toninelli in Tv poche settimane fa: “Le infrastrutture saranno decise in base ai risultati di analisi costi-benefici”. Sarebbe la realizzazione di una rivoluzione promessa e poi tradita per ragioni di consenso elettorale. Consenso che poi, si noti, non si è affatto materializzato per il partito del “generosissimo” (coi soldi nostri) Delrio. Forse può servire da ammonimento per sconsigliare analoghe evoluzioni di “realpolitik” al nuovo venuto, che parte anche lui in modo così promettente.

Si noti che l’analisi costi-benefici, che misura anche importanti impatti sociali, come quelli ambientali particolarmente cari al M5S, ha un senso politico ben più vasto dei propri contenuti tecnici, pur di valenza consolidata a livello internazionale, ed in particolare europeo. Infatti questo approccio riduce l’ “arbitrio del principe”: chi decide in base ad analisi solide e trasparenti, in qualche modo si rende più responsabile dei risultati (è più “accountable”), ma non solo: favorisce anche la qualità del dibattito pubblico ex-ante, spesso preda di opposte ideologie, sia pro che contro i progetti infrastrutturali, o peggio di manipolazioni interessate. Ed anche a questo dibattito pubblico il M5S appare particolarmente attento.

Poi il decisore politico ovviamente può dire: “L’analisi sceglierebbe la soluzione A, ma scelgo la B per ragioni che qui vi esplicito in termini politici, e dei cui risultati vi renderò conto”. Ma opere inutili, come molte attualmente sul tavolo, saranno più difficili da giustificare con slogan indifendibili tipo la “cura del ferro”. Questo slogan è stato usato anche per difendere la Tav, il “terzo valico” Milano-Genova, l’AV Brescia-Padova e simili costosissime amenità, che non supererebbero mai una seria analisi costi-benefici indipendente, come chi scrive si diletta a fare invano da diversi anni a proprie spese.

La prova per il neo-ministro, sull’unico tema sui cui si è espresso, sarà duplice: da un lato il programma di governo nel davvero breve capitolo “Trasporti” attribuisce al costosissimo mondo ferroviario una preminenza non dissimile a quella perseguita da Delrio a dispetto di ogni “rischio” di dover valutare qualcosa. E’ chiaro che valutare costi e benefici è in contraddizione logica con scelte modali ex-ante.

In secondo luogo, ci sarà il problema del Mezzogiorno, territorio verso cui il M5S non potrà non manifestare particolari sensibilità in termini di consenso. Anche qui Delrio poco prima delle elezioni ha promesso fiumi di soldi in ferrovie di dubbia utilità, in quanto probabilmente destinate a rimanere semideserte per ragioni tecniche su cui qui non possiamo dilungarci. Il ministro Toninelli dovrà accettare il fatto che ferrovie semideserte sono l’ultima cosa di cui il Sud ha bisogno per svilupparsi, mentre investimenti in settori tecnologicamente avanzati sono probabilmente la prima strategia da perseguire.

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