Il governo più demonizzato, prima di nascere, nella storia delle democrazie liberali dell’occidente alla fine è nato e la vigilia del 2 giugno i suoi ministri hanno giurato davanti al presidente della Repubblica.

A giurare nel corso di un ventennio (per limitarsi alla seconda Repubblica) sono sfilati presidenti del Consiglio e ministri tra i più “inimmaginabili”, in primo luogo sotto il profilo dell’onorabilità richiesta dalla Costituzione. Eppure, i toni sprezzanti – se non decisamente irrisori riservati alla compagine governativa guidata da Giuseppe Conte a sua volta oggetto di un accanimento giornalistico degno di migliori cause – non si erano mai registrati.

Il percorso è stato “accidentato” per usare un eufemismo, il tempo si è dilatato tanto da mettere a dura prova anche l’attenzione dei cittadini più interessati alla res publica: gli avanti e indietro, i colpi di scena, gli scivoloni dei “volonterosi” protagonisti, tra cui l’infelice uscita sull’impeachement del presidente della Repubblica da parte di Luigi Di Maio, prontamente disinnescata dal garante del M5S (per fortuna che Grillo c’è), sono stati tanti e forse troppi.

Ma il risultato prioritario dopo oltre 90 giorni di consultazioni e trattative, in buona parte dovuti anche allo stallo causato dall’indisponibilità assoluta e dal pernicioso protagonismo dell’ex segretario del Pd, di portare a casa un governo politico e cioè “la soluzione migliore” come ha sottolineato con grande obiettività lo stesso Carlo Cottarelli è stato raggiunto.

Deve essere assolutamente chiaro che alternative percorribili e preferibili non ne esistevano più e a mio modesto parere non ne erano mai esistite: a differenza di tanti amici di sinistra-sinistra e a tante voci autorevoli che si sono levate anche dal Fatto non ho mai creduto alla praticabilità di un’intesa anche minima tra M5S e Pd, al di là delle non felicissime definizioni di Di Maio riguardo ai forni che si aprivano e si chiudevano. E resta comunque agli atti della cronaca di questi tre mesi estenuanti che la prima opportunità era stata data al Pd e ad “un centrosinistra profondamente rinnovato” e cioè ad “un ossimoro” come ha detto Marco Travaglio e come abbiamo avuto pienamente modo di constatare.

Il ritorno al voto a settembre, oltre al rischio di uno spread oltre i 300 punti come è avvenuto in questi giorni per l’assoluta incertezza e non per il terrore del “Frankestein metà grillino e metà padano”, paventato da mesi dalle pagine di  Repubblica, aveva come esito probabile, se non scontato, un ritorno del centrodestra al governo con la Lega già ora attestata al 26% secondo un sondaggio di Demopolis che registra anche un ridimensionamento del M5S al 30%.

Se poi invece le preoccupazioni e gli allarmi più che sulla presunta natura “barbara”, eversiva, fascista o sfascista del governo Conte, vertono sullo stato comatoso e penoso dell’opposizione rappresentata da Renzi e B., che in una sana democrazia dovrebbe essere vitale, allora hanno qualche fondamento ma sono rivolti ai destinatari sbagliati.

Basterebbe ricordare che in giorni ormai lontani  quando M5S e Lega andavano definendo la trattativa per il programma di governo condiviso tra Luigi Maio e Matteo Salvini,  Matteo Renzi era più esultante di molti elettori dei pentastellati e  rivendicava con “eccesso di modestia”, munito di popcorn per godersi lo spettacolo, di averlo previsto da sempre, mentre aveva operato molto concretamente a farlo nascere.

Il contributo per avviare quello che ora è nato come governo del cambiamento, e che potrà esserlo effettivamente solo se si manterrà nel perimetro dei riferimenti “imprescindibili” a cui il M5S Di Maio continua a richiamarsi, da parte del bullo dalla “cinica cattiveria” (definizione di Pansa) non è stato meno rilevante del low profile di B. e per ragioni in buona parte convergenti.

Le due metà che auspicavano di ricongiungersi nel Renzusconi di governo, grazie ai marchingegni truffaldini del Rosatellum, dopo essere stati in buona parte protagonisti dello stallo dei mesi perduti “a danno del Paese” a causa dell’ inadeguatezza e del tatticismo dei presunti vincitori ora, una volta scampato l’incubo del voto a luglio o a settembre contano di intendersi e di risintonizzarsi dall’opposizione. Se veramente il governo fresco di giuramento dovesse rappresentare “l’abbraccio populista più allarmante d’Europa“, secondo la definizione di Matteo Renzi che ha impedito ad un Pd tramortito qualsiasi pur flebile tentativo di evitarlo, non si era mai assistita a tanta soddisfazione per il verificarsi di un evento così calamitoso.

Come pure non sembra molto credibile “il fronte repubblicano contro i populisti” e l’idea di scendere in piazza con la Costituzione in mano contro “lo squadrismo istituzionale” dei nuovi barbari, quando si insedia il nuovo governo, il cosiddetto impeachement è stato spazzato via dai fatti e dal buon senso e non c’è più nessuna esigenza di difendere la presidenza della repubblica.

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