Mengniu, Vivo e Wanda. Sono alcuni degli sponsor esotici che affiancheranno Coca Cola, Visa e Adidas ai mondiali di Russia 2018, a rimarcare che, seppur fuori dal campo, la Cina c’è. Mentre – malgrado la presenza di un ct quale Marcello Lippi – la nazionale cinese di calcio non è tra le 32 squadre qualificate, le ambizioni calcistiche di Pechino sono cosa ben nota da quando, alla fine del 2014, il presidente Xi Jinping ha annunciato una rivoluzione sportiva mirata a rendere la Repubblica popolare una “superpotenza del pallone“. Secondo i piani di Xi, la Cina dovrà essere in grado di vincere la Coppa del mondo entro il 2050. Traguardo ambizioso, se si considera che al momento la nazionale cinese – numero 73 nel ranking FIFA dopo Curaçao e Capo Verde – ha partecipato a un solo campionato del mondo, nel 2002, uscendo al primo turno senza mettere a segno nemmeno un goal. L’impegno economico devoluto alla rinascita calcistica mette tuttavia in evidenza la serietà delle intenzioni.

Una road map in 50 punti prevede entro il 2020 la costruzione di 20mila strutture per la formazione, 60mila nuovi campi da calcio e 50 milioni di praticanti. Negli ultimi anni, la Cina ha investito circa 2,5 miliardi di dollari in una ventina di club europei dal Manchester al Milan passando per lo Slavia Prague. Oltre 400 milioni di dollari sono finiti nell’acquisto di talenti fin troppo sprecati per una serie calcistica di qualità mediocre come la Chinese Super League. La campagna contro la corruzione e gli “investimenti irrazionali”dell’ultimo anno (culminata in una ‘Luxury tax’ che prevede il pagamento di quasi il 100% del costo del trasferimento) ha soltanto deviato i capitali verso scelte più strategiche. Ne è convinto Simon Chadwick, docente di impresa sportiva presso la University of Salford di Manchester, che al New York Times spiega i piani di Pechino senza giri di parole: “la Cina non sta cercando di salvare la FIFA ma di influenzare le sue decisioni nei prossimi 10 anni. E la priorità assoluta, probabilmente, è aiutare la Cina a ospitare la Coppa del Mondo”.

Nell’attesa che le capacità tecniche degli atleti cinesi raggiungano i livelli auspicati, infatti, la seconda economia mondiale si è ritagliata un ruolo da protagonista lontano dal manto erboso. Complici gli scandali che hanno colpito la Federazione e la natura controversa del paese ospitante (la Russia), la manifestazione sportiva quest’anno ha faticato a trovare l’appoggio di finanziatori occidentali, venendo snobbata da Sony, Johnson & Johnson e Castrol dopo aver registrato perdite record per 369 milioni di dollari nel 2016. Una situazione che la Cina ha saputo capitalizzare al meglio.

Due anni fa, nel pieno dell’inchiesta anticorruzione dell’Fbi, il colosso dell’entertainment Wanda ha siglato una partnership da 150 milioni di dollari con la FIFA spiegando che “poiché alcune società occidentali si stanno ritirando, cogliamo l’opportunità. Se più compagnie di fratelli cinesi diventeranno sponsor della FIFA, uniremo le forze per far progredire gli interessi del calcio cinese”. Negli ultimi 18 mesi, hanno risposto all’appello la società di elettronica Hisense, il produttore di smartphone Vivo, il marchio di prodotti lattiero-caseari Mengniu (che parteciperà in qualità di fornitore ufficiale di yogurt bevibile e gelato preconfezionato) e Yadea, azienda specializzata nella produzione di motocicli, biciclette e scooter elettrici. Parallelamente, lo scorso anno, la FIFA Club World Cup (continuazione della Coppa intercontinentale) ha stretto un’alleanza quinquennale con il colosso Alibaba Group, “Presenting Partner” dell’evento per i prossimi cinque anni attraverso la propria divisione di cloud computing Alibaba Cloud. Un bel passo avanti se si considera che le precedenti edizioni avevano visto la presenza di un solo marchio cinese: il semi sconosciuto produttore di pannelli solari Yinli, sponsor di secondo livello ai mondiali del 2010 e 2014.

Se la fratellanza imprenditoriale “made in China” sarà in grado di veicolare il soft power cinese nel mondo è ancora tutto da vedere. Per il momento, una qualifica della nazionale cinese diventa più plausibile alla luce della rivoluzione con cui la FIFA ha deciso, dal 2026, di allargare la partecipazione al torneo da 32 a 48 squadre. Come spiegava tempo fa L’ultimo Uomo, grazie ai nuovi numeri, l’AFC (la confederazione asiatica) – secondo alcune simulazioni – “potrebbe quasi raddoppiare i propri posti al Mondiale (da un massimo di 5 a 8), il che significherebbe, tra le altre cose, possibilità raddoppiate di qualifica per Qatar e Cina. In questo senso, potrebbe aver avuto il suo peso anche l’accordo che il gruppo Wanda, mega conglomerato cinese che ha iniziato ad investire nello sport, ha firmato con la FIFA nel marzo dell’anno scorso, diventandone il primo [top] sponsor cinese”.

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