Il primo colpo è partito. È però ancora presto per capire se la prova di forza si esaurirà in qualche schermaglia, alla fine più simbolica che altro, o se lo sconto commerciale tra Stati Uniti e resto del mondo degenererà in una guerra di tariffe che avrebbe con buone probabilità ripercussioni pesanti sull’economia di tutti i protagonisti. Da venerdì primo giugno i dazi statunitensi sulle importazioni di alluminio (10%) e acciaio (25%) sono stati estesi anche ad Europa, Canada e Messico dopo che già erano entrati in vigore da marzo per Cina, Giappone ed altri Paesi. Nel complesso le importazioni statunitensi di acciaio e alluminio valgono circa 30 miliardi di dollari l’anno. Canada e Messico, da cui ne proviene circa la metà, sono i due Stati più colpiti e hanno già annunciato contromisure. Il Canada ha intenzione di colpire prodotti importati dagli Stati Uniti per un controvalore di quasi 13 miliardi di dollari, una lista che va dai beni di consumo ai detergenti passando naturalmente per acciaio e alluminio. Il Messico ha messo nel mirino prodotti statunitensi prevalentemente alimentari come salsicce, uva, mele e mirtilli.
Per l’Europa l’impatto dei dazi decisi da Donald Trump è più modesto. Nel complesso l’interscambio commerciale tra le due sponde dell’oceano Atlantico vale 720 miliardi di dollari. L’export di acciaio alluminio non arriva a 6,5 miliardi e, secondo le stime del Peterson Institute, le nuove tariffe potrebbero comportare perdite per 2,6 miliardi concentrate per la quasi totalità sull’acciaio. Il Paese che ne risentirà maggiormente è la Germania, che vende acciaio e alluminio a Washington per 1,4 miliardi di dollari l’anno. Una cifra che rappresenta però appena lo 0,1% delle esportazioni di Berlino verso gli Usa. Il valore dell’export dei due prodotti riconducibile all’Italia si ferma invece a 650 milioni di dollari. Da mesi Bruxelles ha comunque pronta una lista di produzioni a stelle e strisce da colpire in via ritorsiva. Si tratta di nomi tipici del made in Usa come il bourbon, i jeans Levi’s, le moto Harley Davidson oltre a beni di consumo meno noti e a prodotti agricoli. Le esportazioni verso l’Ue dei beni sotto tiro hanno un valore di 2,8 miliardi di dollari e la selezione è stata effettuata per colpire in modo particolare le produzioni dei collegi elettorali dove Trump è più forte.
Il fronte che contrappone Washington a Pechino, appare più surriscaldato sebbene anche in questo caso almeno per ora non si sia ancora passati alle maniere forti. Oltre ad acciaio e alluminio ci sono infatti sanzioni specifiche decise dalla Casa Bianca su altri prodotti cinesi. Una prima ondata di tariffe doganali ha colpito 1.300 prodotti cinesi il cui export verso gli Usa vale in tutto 50 miliardi di dollari. Il gigante asiatico ha risposto con ritorsioni di uguale entità provocando a sua volta una controreazione degli Usa. Washington non ha lasciato ma anzi raddoppiato, estendendo le tariffe su prodotti cinesi il cui import vale 100 miliardi l’anno. Merita ricordare che ogni anno i due Paesi si scambiano beni per 636 miliardi di dollari e l’obiettivo dichiarato da Trump è quello di ridurre le esportazioni di prodotti cinesi per un ammontare pari a 100 miliardi.
Lo scontro “Washington contro tutti” potrebbe però salire decisamente di intensità se nel mirino finissero davvero le automobili. Per ora Trump ha annunciato l’avvio di un’indagine per verificare se l’import di automobili straniere pregiudichi la sicurezza nazionale. La mossa del presidente Usa fa leva su una disposizione degli accordi commerciali che solitamente viene attivata in situazioni di conflitti bellici ma che la Casa Bianca ha già utilizzato per imporre le tariffe su acciaio e alluminio. L’istruttoria richiede tempo, circa un anno, e le pressioni delle lobby industriali per bloccarne l’iter sono forti. Tuttavia se la nuova ondata di dazi dovesse arrivare in porto, il conflitto commerciale si infiammerebbe. Le cifre in gioco sono infatti di un altro ordine di grandezza.
Ogni anno gli Usa importano oltre 8 milioni tra automobili e furgoni. Anche in questo caso le prime vittime sarebbero Messico e Canada che vendono agli Usa veicoli e componentistica per 80 e 55 miliardi di dollari. Il colpo sarebbe durissimo anche per il Giappone (50 miliardi di auto e componenti venduti negli Usa), per la Corea del Sud e naturalmente per l’Europa. In particolare per Germania, Gran Bretagna e Italia il cui export verso gli Stati Uniti nell’automotive vale rispettivamente 28, 8 e 5 miliardi di dollari. Per Bmw, Volkswagen e Daimler gli Usa sono il principale mercato estero mentre Fca realizza la quasi totalità dei suoi utili negli Usa compensando i risultati molto più deludenti del mercato europeo.
La partita della quatto ruote è però particolarmente complessa e intricata anche perché diverse case automobilistiche estere producono direttamente negli Usa. Solo lo scorso anno ad esempio sono state assemblate all’interno confini statunitensi più di 800mila vetture tedesche. Non solo, quella dell’auto è una filiera produttiva estremamente integrata e globalizzata. Auto costruite ad esempio in Messico montano componenti realizzati anche negli stessi Usa dove poi vengono esportate. Porre dazi sulle auto importate dal Paese sudamericano potrebbe quindi avere un effetto boomerang su alcune produzioni statunitensi.
In generale gli economisti sono scettici sulla reale efficacia delle barriere doganali. Possono avere effetti positivi nell’immediato che però tendono a svanire nel tempo e che comunque provocano anche conseguenze negative. Più un Paese si isola più ad esempio viene allontanato dalle frontiere tecnologiche più avanzate. Le barriere doganali tendono a far aumentare i prezzi a danno dei consumatori finali. Inoltre chi viene colpito da dazi tende a reagire ponendo a sua volta tariffe e la spirale si può avvitare travolgendo tutte le parti coinvolte. I precedenti storici non sono incoraggianti. Per fermarsi ai casi più recenti nel 2003 George W. Bush adottò dazi sull’import di acciaio Ue che fu costretto a rimuovere meno di due anni più tardi e dopo aver provocato la perdita di 200mila occupati nelle industrie americane che utilizzavano acciaio e che furono messe in difficoltà dall’aumento dei prezzi innescato dalle nuove tariffe. Non mancano voci più pragmatiche che ammettono come in alcune situazioni possa essere utile difendere con tasse doganali le produzioni nazionali. Questo al fine di attutire gli impatti più violenti della globalizzazione che innescano dolorosi e problematici processi redistributivi all’interno di tutti i Paesi coinvolti. Un ragionamento che va oltre il semplice calcolo economico includendo anche considerazioni sociali e politiche.
Lobby
Dazi Usa su acciaio e alluminio, chi pagherà il pegno delle mosse di Trump tra schermaglie e colpi veri
È ancora presto per capire se la prova di forza si esaurirà in qualche battaglia alla fine più simbolica che altro, o se lo sconto commerciale tra Stati Uniti e resto del mondo degenererà in una guerra di tariffe che avrebbe con buone probabilità ripercussioni pesanti sull’economia di tutti i protagonisti. Come il caso dell'auto dovrebbe insegnare
Il primo colpo è partito. È però ancora presto per capire se la prova di forza si esaurirà in qualche schermaglia, alla fine più simbolica che altro, o se lo sconto commerciale tra Stati Uniti e resto del mondo degenererà in una guerra di tariffe che avrebbe con buone probabilità ripercussioni pesanti sull’economia di tutti i protagonisti. Da venerdì primo giugno i dazi statunitensi sulle importazioni di alluminio (10%) e acciaio (25%) sono stati estesi anche ad Europa, Canada e Messico dopo che già erano entrati in vigore da marzo per Cina, Giappone ed altri Paesi. Nel complesso le importazioni statunitensi di acciaio e alluminio valgono circa 30 miliardi di dollari l’anno. Canada e Messico, da cui ne proviene circa la metà, sono i due Stati più colpiti e hanno già annunciato contromisure. Il Canada ha intenzione di colpire prodotti importati dagli Stati Uniti per un controvalore di quasi 13 miliardi di dollari, una lista che va dai beni di consumo ai detergenti passando naturalmente per acciaio e alluminio. Il Messico ha messo nel mirino prodotti statunitensi prevalentemente alimentari come salsicce, uva, mele e mirtilli.
Per l’Europa l’impatto dei dazi decisi da Donald Trump è più modesto. Nel complesso l’interscambio commerciale tra le due sponde dell’oceano Atlantico vale 720 miliardi di dollari. L’export di acciaio alluminio non arriva a 6,5 miliardi e, secondo le stime del Peterson Institute, le nuove tariffe potrebbero comportare perdite per 2,6 miliardi concentrate per la quasi totalità sull’acciaio. Il Paese che ne risentirà maggiormente è la Germania, che vende acciaio e alluminio a Washington per 1,4 miliardi di dollari l’anno. Una cifra che rappresenta però appena lo 0,1% delle esportazioni di Berlino verso gli Usa. Il valore dell’export dei due prodotti riconducibile all’Italia si ferma invece a 650 milioni di dollari. Da mesi Bruxelles ha comunque pronta una lista di produzioni a stelle e strisce da colpire in via ritorsiva. Si tratta di nomi tipici del made in Usa come il bourbon, i jeans Levi’s, le moto Harley Davidson oltre a beni di consumo meno noti e a prodotti agricoli. Le esportazioni verso l’Ue dei beni sotto tiro hanno un valore di 2,8 miliardi di dollari e la selezione è stata effettuata per colpire in modo particolare le produzioni dei collegi elettorali dove Trump è più forte.
Il fronte che contrappone Washington a Pechino, appare più surriscaldato sebbene anche in questo caso almeno per ora non si sia ancora passati alle maniere forti. Oltre ad acciaio e alluminio ci sono infatti sanzioni specifiche decise dalla Casa Bianca su altri prodotti cinesi. Una prima ondata di tariffe doganali ha colpito 1.300 prodotti cinesi il cui export verso gli Usa vale in tutto 50 miliardi di dollari. Il gigante asiatico ha risposto con ritorsioni di uguale entità provocando a sua volta una controreazione degli Usa. Washington non ha lasciato ma anzi raddoppiato, estendendo le tariffe su prodotti cinesi il cui import vale 100 miliardi l’anno. Merita ricordare che ogni anno i due Paesi si scambiano beni per 636 miliardi di dollari e l’obiettivo dichiarato da Trump è quello di ridurre le esportazioni di prodotti cinesi per un ammontare pari a 100 miliardi.
Lo scontro “Washington contro tutti” potrebbe però salire decisamente di intensità se nel mirino finissero davvero le automobili. Per ora Trump ha annunciato l’avvio di un’indagine per verificare se l’import di automobili straniere pregiudichi la sicurezza nazionale. La mossa del presidente Usa fa leva su una disposizione degli accordi commerciali che solitamente viene attivata in situazioni di conflitti bellici ma che la Casa Bianca ha già utilizzato per imporre le tariffe su acciaio e alluminio. L’istruttoria richiede tempo, circa un anno, e le pressioni delle lobby industriali per bloccarne l’iter sono forti. Tuttavia se la nuova ondata di dazi dovesse arrivare in porto, il conflitto commerciale si infiammerebbe. Le cifre in gioco sono infatti di un altro ordine di grandezza.
Ogni anno gli Usa importano oltre 8 milioni tra automobili e furgoni. Anche in questo caso le prime vittime sarebbero Messico e Canada che vendono agli Usa veicoli e componentistica per 80 e 55 miliardi di dollari. Il colpo sarebbe durissimo anche per il Giappone (50 miliardi di auto e componenti venduti negli Usa), per la Corea del Sud e naturalmente per l’Europa. In particolare per Germania, Gran Bretagna e Italia il cui export verso gli Stati Uniti nell’automotive vale rispettivamente 28, 8 e 5 miliardi di dollari. Per Bmw, Volkswagen e Daimler gli Usa sono il principale mercato estero mentre Fca realizza la quasi totalità dei suoi utili negli Usa compensando i risultati molto più deludenti del mercato europeo.
La partita della quatto ruote è però particolarmente complessa e intricata anche perché diverse case automobilistiche estere producono direttamente negli Usa. Solo lo scorso anno ad esempio sono state assemblate all’interno confini statunitensi più di 800mila vetture tedesche. Non solo, quella dell’auto è una filiera produttiva estremamente integrata e globalizzata. Auto costruite ad esempio in Messico montano componenti realizzati anche negli stessi Usa dove poi vengono esportate. Porre dazi sulle auto importate dal Paese sudamericano potrebbe quindi avere un effetto boomerang su alcune produzioni statunitensi.
In generale gli economisti sono scettici sulla reale efficacia delle barriere doganali. Possono avere effetti positivi nell’immediato che però tendono a svanire nel tempo e che comunque provocano anche conseguenze negative. Più un Paese si isola più ad esempio viene allontanato dalle frontiere tecnologiche più avanzate. Le barriere doganali tendono a far aumentare i prezzi a danno dei consumatori finali. Inoltre chi viene colpito da dazi tende a reagire ponendo a sua volta tariffe e la spirale si può avvitare travolgendo tutte le parti coinvolte. I precedenti storici non sono incoraggianti. Per fermarsi ai casi più recenti nel 2003 George W. Bush adottò dazi sull’import di acciaio Ue che fu costretto a rimuovere meno di due anni più tardi e dopo aver provocato la perdita di 200mila occupati nelle industrie americane che utilizzavano acciaio e che furono messe in difficoltà dall’aumento dei prezzi innescato dalle nuove tariffe. Non mancano voci più pragmatiche che ammettono come in alcune situazioni possa essere utile difendere con tasse doganali le produzioni nazionali. Questo al fine di attutire gli impatti più violenti della globalizzazione che innescano dolorosi e problematici processi redistributivi all’interno di tutti i Paesi coinvolti. Un ragionamento che va oltre il semplice calcolo economico includendo anche considerazioni sociali e politiche.
TRUMP POWER
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Dazi Usa, monito del G7: “Preoccupazione e delusione per scelte Trump”. E Pechino: “Così niente accordi”
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Economia & Lobby
Caro bollette, a due settimane dagli annunci di Giorgetti il decreto slitta ancora: cdm rinviato a venerdì
Milano, 24 feb.(Adnkronos) - “Un ente come Fondazione Bicocca è assolutamente innovativo perché apre totalmente al privato. Una formula coerente con le intenzioni del governo, che sta novellando le norme legate al partenariato pubblico-privato per un equilibrato rapporto tra gli interessi pubblici e l'interesse privato”. Così Alessandro Morelli, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, in occasione della presentazione della Fondazione Bicocca, svoltasi presso l’Aula magna dell’Ateneo milanese.
“Bicocca, pertanto, sta facendo una bellissima esperienza: una start up all'interno della start up. Ci auguriamo, quindi, che il buon successo di questa iniziativa possa essere preso come esempio da molti altri. Il giusto e sano collegamento tra un'accademia, come questa l'università, e le imprese è una cosa buona e giusta che perseguiamo con grande attenzione”, conclude.
Milano, 24 feb.(Adnkronos) - "Oggi presentiamo Fondazione Bicocca a tutta la comunità e a tutti i nostri possibili stakeholders. Lo scopo della Fondazione è quello di mettere in relazione il territorio con l'università. È un facilitatore e quindi speriamo di ottenere dei grossi risultati. Oggi il primo evento di una lunga serie”. Così Marco Orlandi prorettore vicario dell'università Milano-Bicocca e presidente di Fondazione Bicocca durante l'evento "Connessioni per il futuro". Un incontro pensato per presentare Fondazione Bicocca, un nuovo ente in grado di supportare e valorizzare le attività di alta formazione, ricerca e trasferimento tecnologico dell’ateneo. “Siamo molto orgogliosi, siamo un'università giovane nata 26 anni fa, ma in questi 26 anni abbiamo ottenuto degli ottimi risultati e questo era il momento di dotarsi di un altro strumento per essere ancora più attrattivi per il territorio e per i nostri stakeholders" conclude Orlandi.
Milano, 24 feb.(Adnkronos) - “La presentazione di Fondazione Bicocca è un momento importante perché Bicocca ha già dimostrato, spostandosi in quest'area geografica della città, di fare tanto per il territorio in cui è immersa, con una trasformazione ambientale e strutturale". Lo afferma Alessia Cappello, assessora allo Sviluppo economico e politiche del lavoro del Comune di Milano, in occasione della presentazione della Fondazione Bicocca, svoltasi presso l’Aula magna dell’Ateneo milanese.
"Basti pensare - dice - a tutti gli investimenti sul verde che ha fatto e che circondano quest'area, ma soprattutto culturale, sulla parte che riguarda la proprietà intellettuale, il trasferimento tecnologico, la possibilità di avvicinare e orientare ancora di più tante ragazze e ragazzi alle materie che l’Università Bicocca rappresenta in questo territorio. Ora attraverso la Fondazione, si cerca di creare quel ponte ancora più esplicito, ancora più forte con il mercato del lavoro”.
"L’obiettivo della Fondazione è trasformare da un lato il mercato del lavoro, avvicinandolo sempre di più alle aspettative di tante ragazze e ragazzi, dall'altro lato avvicinare questo patrimonio di giovani alle proposte che ci sono nel mercato del lavoro, orientandoli e formandoli nel modo corretto a fronte delle tante vacancies che ci sono in diversi settori. Un obiettivo molto utile non solo a Milano, ma al nostro Paese”, conclude.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Il costo delle bollette in Italia ha raggiunto picchi insostenibili per famiglie e imprese. Oggi la segretaria Schlein ha dimostrato che sono possibili interventi urgenti e immediati per abbassare il costo dell’energia. Nello stesso giorno in cui il governo Meloni fa slittare il cdm per affrontare la questione: sono nel caos. Seguano le proposte del Pd, perché gli italiani non possono rimetterci di tasca propria per l’incompetenza di questa destra". Lo scrive sui social Alessandro Zan del Pd.
Milano, 24 feb.(Adnkronos) - “Il valore di Fondazione Bicocca è un atto di coraggio, ma anche di eredità, perché questo è il mio ultimo anno di mandato. Pertanto, l'ottica è mettere a disposizione le competenze, ma anche il coraggio, di un grande ateneo pubblico multidisciplinare, come Bicocca, a disposizione della società civile a 360 gradi”. Così Giovanna Iannantuoni, rettrice dell’università degli studi di Milano-Bicocca, in occasione della presentazione della Fondazione Bicocca, svoltasi presso l’Aula magna dell’Ateneo milanese.
“Tutti noi sappiamo dell'incertezza economica, dei problemi relativi al mancato sviluppo delle competenze e dell'inverno demografico. Queste sfide non sono solo italiane, ma anche europee, rispetto a colossi come Stati Uniti e Cina e fanno riflettere sul gap di innovazione tecnologica che caratterizza tutta l'Europa e in particolare il nostro Paese. Pertanto - spiega la rettrice Iannantuoni - è motivo di orgoglio avere da un lato lo sviluppo delle competenze e dall’altro mettere a disposizione i nostri laboratori e le nostre migliori menti insieme alle imprese per fare sviluppo e crescita. Non c'è innovazione tecnologica se non c’è giustizia sociale, cioè se l’innovazione non è a favore di tutti. Un esempio sono le polemiche legate alle auto elettriche”.
“Quindi, il nostro approccio è multidisciplinare, innovativo e diverso, com’è diversa Bicocca, e si propone come una piattaforma di connessioni per il futuro, come abbiamo voluto chiamare la giornata di oggi e aspettiamo tutte le imprese del terzo settore, gli Irccs, gli istituti di cura, le scienze della vita, Tutti insieme per dare una speranza diversa al nostro Paese”, conclude.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Il governo Meloni, in quasi due anni, non ha adottato alcuna misura efficace per contrastare l’aumento delle bollette, preferendo smantellare il mercato tutelato e aggravando così la situazione di famiglie e imprese". Lo afferma Ubaldo Pagano, capogruppo del Partito Democratico in Commissione Bilancio alla Camera, sottolineando la necessità di un cambio di rotta immediato. Il Partito Democratico torna a chiedere interventi concreti, proponendo due soluzioni centrali: separare il costo dell’energia da quello del gas e istituire un ente pubblico che possa garantire prezzi più accessibili.
"Non possiamo accettare – aggiunge Pagano – che il nostro sistema energetico rimanga vincolato a un meccanismo che pesa enormemente sulle tasche di cittadini e aziende. Il gas è la fonte più costosa e instabile, e continuare a legare il prezzo dell’elettricità a questa risorsa è un errore che il governo deve correggere subito. Le bollette stanno raggiungendo livelli insostenibili proprio nei mesi di maggiore consumo: Meloni e la sua maggioranza si decidano ad agire, perché gli italiani non possono più aspettare", conclude Pagano.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Non è più procrastinabile un intervento del Governo per contenere i costi delle bollette, oramai insostenibili per milioni di italiani. Governo e maggioranza facciano proprie le proposte del Pd avanzate da Elly Schlein e tutte a costo zero. Proposte semplici, chiare ed efficaci. Approviamole con spirito bipartisan per il bene del Paese". Così in una nota il senatore del Pd Michele Fina.
"Dopo che il taglio delle accise, promesso dalla presidente Meloni, era rimasto intrappolato nella distanza che c'è tra il dire e il fare e nulla è stato fatto è ora che maggioranza e governo prendano atto della gravità della situazione. Come si fa a non rendersi conto che questa emergenza bollette si aggiunge all’aumento di carburante, RC Auto e pedaggi, beni alimentari, materiale scolastico e affitti? Una situazione sconfortante che si va ad aggiungere ad una economia che arretra da 750 giorni, proprio mentre attendiamo gli effetti nefasti dei dazi di Trump".