Alla fine Italia batte Spagna 1 a 0, almeno in politica, perché dal primo giugno, esiste da noi un nuovo governo, espressione di una maggioranza scaturita attraverso un accordo tra partiti, dopo le elezioni del 4 marzo. Soluzione che pone fine, almeno temporaneamente, alla crisi politica iniziata effettivamente il 4 dicembre 2016, quando Matteo Renzi capo del governo e segretario del maggior partito, fu battuto al referendum voluto per confermare la sua riforma costituzionale, dimettendosi da Presidente del Consiglio ma restando segretario del partito fino al rovescio elettorale.
In Spagna invece le dimissioni di Mariano Rajoy, scoperchiano la lunga crisi istituzionale e politica soffocata da oltre tre anni. In Spagna il potere di Rajoy, leader del partito popolare di destra, era già stato messo a dura prova dai procedimenti giudiziari iniziati nel 2011 ma ciò non gli ha impedito di reggere il governo anche dopo ripetute sconfitte elettorali che però non avevano consentito la formazione di maggioranze alternative al partito popolare. Sulla base del sistema elettorale spagnolo ha governato pur non avendo i numeri e soprattutto il consenso, fino alla sfiducia votata a maggioranza che l’ha costretto alle dimissioni, aprendo la porta al governo di Pedro Sanchez segretario del Psoe (Partito Socialista Operaio Spagnolo) che è andato al governo in quanto primo firmatario della mozione di sfiducia.
In questi mesi la Spagna ha vissuto una delle peggiori crisi politico-istituzionali nel conflitto con la Catalogna desiderosa di esercitare con un referendum dichiarato illegale, secondo la costituzione spagnola, la sua autonomia, trasformandola in una vera e propria indipendenza. Il governo retto da Rajoy ha contrastato gli indipendentisti catalani con una dura azione repressiva sia sul piano legale che su quello di polizia, lo scontro è giunto a livelli elevatissimi con l’arresto dei leader indipendentisti e dello stesso presidente della Catalogna Carles Puigdemont, costretto a fuggire all’estero inseguito da un mandato di cattura.
Le successive elezioni regionali in Catalogna registravano la conferma della maggioranza assoluta alla coalizione dei partiti indipendentisti, aprendo di fatto la crisi finale di Rajoy. La crisi spagnola con caratteri sicuramente diversi da quella italiana non è però estranea alle tensioni che corrono lungo tutto il continente europeo e che stanno producendo più di un terremoto politico. Se pensiamo alla Brexit con l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione e quindi dai trattati europei, le elezioni in Francia e la vittoria di Macron al di fuori da ogni schieramento partitico tradizionale, quelle in Germania con la difficile riconferma della Merkel attraverso la riproposizione forzata dell’alleanza Cdu-Spd e l’avanzata clamorosa dei nazionalisti anti euro Alternative für Deutschland. Non c’è Paese europeo se si escludono i minori per numero di abitanti che non sia attraversato da profonde crisi e lacerazioni che hanno come principale motivo di conflitto e di contestazione il governo dell’economia, l’unione europea e l’euro.
L’Italia con il governo M5S-Lega, si pone indubbiamente sulla scia di questi movimenti sospinti da richieste di forti cambiamenti nelle scelte di politiche economiche e di protezione sociale, determinate dalla più grave e lunga crisi economica che l’Europa e l’intero occidente abbiano mai attraversato dal dopoguerra. Crisi che non ha ancora visto il definitivo superamento, crisi che nonostante la ripresa del Pil (ma in Italia ancora meno della media europea) non riesce a invertire la tendenza all’impoverimento, alla disoccupazione e alla sottoccupazione, alla precarietà e alla instabilità dei sistemi produttivi, sottoposti a forti tensioni concorrenziali dai Paesi emergenti. Sarebbe molto saggio che le istituzioni europee avviassero una seria revisione dell’efficacia dei trattati e dello stesso assetto politico istituzionale, prima che la crisi delegittimi ancor di più l’Unione. La vittima principale di questa situazione sono le sinistre, messe ai margini dalle ondate nazionaliste e xenofobe, la sinistra che in molti casi, come in Italia, avendo retto per lungo tempo il governo, ha subito un forte logoramento, stretta tra il rispetto dei trattati, l’emergenza economica e una forte crisi identitaria e di consenso popolare.
Su queste tensioni soffia ora anche il vento turbinoso dei dazi imposti da Trump che riaccendono non solo tensioni tra i governi, ma finiscono per alimentare ulteriori spinte nazionalistiche e scioviniste, di cui non si sente proprio il bisogno. Forse siamo all’alba di nuove imprevedibili vicende, certamente il professor Giuseppe Conte avrà da domani il suo bel da fare per mettere in navigazione il vascello giallo-verde. Finita la festa, all’orizzonte si avvistano cieli plumbei e tempeste non solo monetarie in arrivo. Intanto gli sconfitti nel Pd e dintorni, non si leccano nemmeno le ferite ricoperte di sale, per ora fingono di nulla come fanno quei malati che rifiutano gli esami clinici per eludere la gravità della malattia. Sarebbe necessaria, direi indispensabile al contrario, una vera e propria ricostruzione dalle fondamenta come da tempo suggeriscono inascoltati saggi, tenuti in nessuna considerazione, c’est la vie!