Scontro tra i due senatori della Lega. L'economista anticipa che la riforma fiscale scatterà prima delle aziende. Poi l'ideologo lo corregge, ma anticipa che nella prima fase le due aliquote (15% sotto gli 80mila euro di reddito, 20% oltre) saranno applicate solo ai nuclei numerosi. Il deputato Borghi: "Prematuro parlarne, ma "potrebbe essere logico, per una questione di tempi, metterla prima per le imprese"
Scontro nella Lega sui tempi di varo della flat tax o dual tax, la nuova “tassa unica” che stando al contratto di governo con il M5s avrà due aliquote secche al 15 e 20%. Scatterà prima per le imprese e solo dopo per le famiglie. Anzi no, già dal 2019 sarà in vigore per tutti. Protagonisti del tira e molla, a tre giorni dal giuramento del nuovo esecutivo gialloverde, i senatori del Carroccio Alberto Bagnai e Armando Siri. Il primo in predicato di diventare sottosegretario al ministero dell’Economia, il secondo “ideologo” della tassa piatta solo sulla carta (le aliquote, stando al contratto di governo, saranno due). Il deputato leghista Claudio Borghi ha poi cercato di calmare le acque spiegando che “è prematuro parlarne perché non ci sono ancora le commissioni” e “quella annunciata da Bagnai è un’ipotesi sul tavolo.
Bagnai: “Alle famiglie sarà applicata dal 2020”. Siri: “Non è vero” – Per Bagnai, intervistato da Agorà, c’è “accordo sul fatto di far partire la flat tax sui redditi di impresa a partire dall’anno prossimo. Il primo anno per le imprese e poi a partire dal secondo anno si prevede di applicarla alle famiglie”. Poche ore dopo però arriva il contrordine per bocca dell’ex autore Mediaset, che ad Affaritaliani dichiara: “Non è vero che dal prossimo anno la flat tax entrerà in vigore solo per le imprese, ci sarà anche per le famiglie. Poi tutto sarà a regime per il 2020″. Per le famiglie “cominceremo già dal 2019 con dei parametri che andranno a perfezionarsi nel 2020 fino a completarla”. Quali parametri? Inizialmente saranno favorite le famiglie con molti figli: “Vediamo se due o tre, stiamo studiando il dossier”. Pare dunque che sia passata la linea del neoministro alla Famiglia Lorenzo Fontana, che si è fatto conoscere per le dichiarazioni contro le “famiglie arcobaleno”: la settimana scorsa aveva auspicato che la flat tax partisse “subito” per i nuclei con tre figli.
Quanto alle imprese, “fino ad oggi solo le società di capitali hanno la flat tax”, ovvero l’Imposta sul reddito delle società (Ires), che dal 2017 è calata dal 27,5 al 24%, ha affermato Siri. “Noi la estendiamo anche alla società di persone, alle partite Iva eccetera. Si tratta di una riforma storica perché viene trasferito a 5 milioni di operatori quello che oggi è solo per 800mila imprese”. L’Imposta sul reddito imprenditoriale (Iri) annunciata dal governo Renzi per armonizzare il trattamento fiscale delle imprese al livello delle società di capitali, che avrebbe però dovuto entrare in vigore nel 2017, è stata rinviata in extremis per disinnescare parte delle clausole di salvaguardia. Sarà in vigore dal 2019 sui redditi 2018, salvo modifiche.
Borghi: “Logico, per questione di tempi, metterla prima per le imprese” – Borghi, intervistato da Radio Cusano Campus, ha frenato ma ha anche ammesso: “Mettere la flat tax subito alle imprese è un lavoro semplice che si può fare in qualche mese. Rifare invece tutto il sistema del fisco che prevede anche i crediti d’imposta del passato, richiede più tempo. Riuscire a fare tutto entro la finanziaria di quest’anno è un obiettivo oggettivamente un po’ ambizioso. Quindi potrebbe essere logico, per una questione di tempi, mettere la flat tax prima per le imprese”. A questo punto si attende che il premier Conte, i vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio o il neo ministro dell’Economia Giovanni Tria spieghino come si intende davvero procedere. Anche sul fronte delle clausole di salvaguardia: se Borghi ha ribadito che “il discorso dell’aumento dell’Iva è assolutamente fuori discussione”, Tria è invece convinto che sia opportuno lasciarla crescere per finanziare così il taglio dell’imposizione diretta.
“Con la flat tax per tutti buco di 50 miliardi” – Nel contratto Lega-M5s si prevede che le attuali cinque aliquote Irpef siano ridotte a due aliquote secche, pari al 15% fino a 80mila euro e al 20% per i redditi superiori. Secondo un’analisi firmata da Massimo Baldini e Leonzio Rizzo pubblicata su lavoce.info, al di là dei dubbi di costituzionalità e dell’effetto redistributivo a favore di chi guadagna di più, questa “dual tax” ridurrebbe di 50 miliardi l’anno gli introiti dello Stato. Questo al netto dell’eventuale maggior recupero di evasione e degli introiti che l’esecutivo conta di ottenere con la “pace fiscale” prevista dal contratto, di fatto un condono anche se limitato a chi è “in condizioni di disagio economico“. Siri ha dichiarato che spera in 35 miliardi di gettito. Ma secondo l’Agenzia delle Entrate, su oltre 1.000 miliardi di crediti vantati solo una cinquantina può potenzialmente essere riscosso. Oggi Siri afferma che il primo step della flat tax che entrerà in vigore dal 2019 “costerà più o meno 30 miliardi di euro”.
“L’imposta sulle imprese? E’ già flat” – Passando alla dual tax per le imprese, va ricordato che già oggi la tassazione è piatta: l’Ires, ex Irpeg, è al 24% per tutte le aziende. La legge di Stabilità per il 2017 (governo Renzi) l’ha ridotta di 3,5 punti rispetto al 27,5% in vigore fino all’anno prima. “È inconcepibile un livello di ignoranza e approssimazione simile. La flat tax sui redditi di impresa esiste da qualche decennio – ha commentato Luigi Marattin, parlamentare del Pd, dopo le dichiarazioni di Bagnai – Prima si chiamava Irpeg, e ora si chiama Ires, e tassa proporzionalmente i redditi delle società di capitali. E a ridurla – dal 27,5% al 24% – è stato il governo Renzi. Nel caso il futuro sottosegretario Bagnai si riferisse, invece, agli utili di impresa delle società di persone, anche quella esiste già: si chiama Iri, e l’ha fatta sempre il governo Renzi”. Su Twitter il senatore del Pd Mauro Maria Marino, membro della commissione speciale a Palazzo Madama, rincara: “Avendo spacciato come reali sogni irrealizzabili, si vendono come da farsi quello che il governo di Matteo Renzi ha già realizzato, posticipando quello che non potranno fare: l’intervento per le famiglie”.
“Dual tax conveniente solo se restano le deduzioni” – Il Sole 24 Ore peraltro ha fatto notare che non necessariamente l’abbattimento dell’imposta si tradurrà in un vantaggio fiscale per le imprese. Tutto dipenderà dalla sorte delle attuali deduzioni consentite. “Se si considerano due esempi base di società di capitali con ricavi rispettivamente di 50mila e 200mila euro“, ha evidenziato il quotidiano confindustriale il 21 maggio, “il margine di oscillazione della differenza con la tassazione Ires al 24% è in gran parte legato alla composizione della base imponibile. Il vero vantaggio va infatti misurato a parità o meno di condizioni. Così, se ad esempio rimanessero immutate la deducibilità dei costi attuali e quella di altre voci ammesse ad agevolazioni, il risparmio d’imposta potrebbe anche arrivare al 37,5 per cento”. Al contrario, “se le attuali agevolazioni venissero meno, si potrebbe arrivare anche alla situazione paradossale di pagare anche un po’ di più”, è la conclusione. Potrebbe comunque essere introdotta una “clausola di salvaguardia” che consenta a chi fosse penalizzato di versare quel che pagava prima.
I benefici a chi guadagna di più – Quanto alle persone fisiche, secondo i calcoli del Sole i risparmi della flat tax “si fanno più rilevanti nella fascia fra i 60mila e gli 80mila euro, si riducono un po’ intorno ai 100mila euro e risalgono sopra, dove però i contribuenti interessati diventano rari”. I benefici si riducono man mano che i redditi scendono “fino ad azzerarsi per le fasce più basse dove dovrebbe scattare la clausola di salvaguardia che mantiene l’attuale sistema di aliquote e detrazioni quando è più conveniente della proposta giallo-verde”, come sottolinea il quotidiano della Confindustria. Secondo il quale quest’ultima è “un’incognita non da poco sull’obiettivo della semplificazione, perché per un’ampia fascia di contribuenti imporrebbe di mettere a confronto due sistemi fiscali diversi per individuare il più conveniente”.