Mentre chiudo questo post, la mattina di domenica 3 giugno, i bulldozer israeliani ancora non si sono presentati al villaggio di Khan al-Ahmar per demolire le strutture abitative e trasferire a forza gli abitanti, circa 200 beduini jahalin palestinesi, presso l’ex discarica di Gerusalemme, vicino al villaggio di Abu Dis.
Forse a rallentare la fretta delle autorità militari israeliane sono state le prime pressioni internazionali, tra cui quella delle Nazioni Unite.
L’autorizzazione della Corte suprema israeliana del 24 maggio rischia comunque di essere un colpo mortale solo ritardato per delle famiglie che, dopo essere state sgomberate negli anni Cinquanta dal deserto del Negev, erano state più volte trasferite su ordine dei vari governi israeliani.
Nove anni fa quelle famiglie avevano intrapreso una battaglia legale per ottenere il diritto di rimanere sulla loro terra – nonostante le continue violenze dei coloni del vicino insediamento di Kfar Adumin – e mantenere il loro stile di vita – sebbene le autorità israeliane non avessero mai fornito il villaggio di acqua ed energia elettrica e avessero delimitato i terreni da pascolo.
Il ministro della Difesa Lieberman, che aveva annunciato il piano di demolizione e trasferimento forzato alla fine dell’agosto 2017, ha ottenuto dunque soddisfazione dalla Corte suprema, che è ricorsa al solito argomento: il villaggio di Khan al-Ahmar è abusivo,ossia costruito senza i relativi permessi.
Peccato che nell’area C della Cisgiordania sotto il pieno controllo di sicurezza dell’Amministrazione civile (in realtà un organismo militare israeliano) per i palestinesi quei permessi siano impossibili da ottenere.
A rischio sono altre 46 comunità palestinesi, tutte nell’area C stabilita dagli accordi di Oslo del 1993, oltre il 60 per cento della Cisgiordania occupata.
I prossimi obiettivi del piano di demolizioni potrebbero essere i villaggi di Ein al-Hilweh e Umm Jamal (nella valle del Giordano), quello di Jabal al Baba (a est di Gerusalemme) e un quinto degli edifici nel villaggio di Susiya, nelle colline meridionali di Hebron.
Dal 1967, Israele ha sgomberato e disperso numerose comunità e ha demolito oltre 50mila abitazioni e strutture civili palestinesi.
Insediare civili israeliani nei Territori occupati palestinesi, distruggere proprietà in modo massiccio e trasferire con la forza persone che vivono sotto occupazione costituiscono violazioni della Quarta convenzione di Ginevra e sono elencati tra i crimini di guerra di competenza del Tribunale penale internazionale.
PS: Francia e Regno Unito hanno manifestato contrarietà alla demolizione e allo sgombero. L’Italia vorrà fare altrettanto, dato che la demolizione potrebbe riguardare anche la “Scuola di gomme”, la struttura educativa costruita interamente su pneumatici di gomma e realizzata dall’ong italiana Vento di terra, frequentata da circa 170 alunne e alunni?