I fatti di Gioia Tauro – ma quali fatti? Questi ultimi? È una battaglia che va avanti da anni – finora neanche una parola a stigmatizzare l’uccisione del giovane sindacalista di base Sacko Soumayla e il ferimento di due suoi compagni hanno prodotto da parte del neo-ministro dell’Interno Matteo Salvini. Una volta la Lega era ‘nordista’ e il Sud era l’obiettivo polemico, ma nonostante i reboanti proclami di un altro ministro dell’Interno leghista, Roberto Maroni, mai molto si è fatto per contrastare lo sfruttamento dei braccianti (migranti o italiani) al Sud. Una legge contro il caporalato è invece arrivata dal governo Pd. Maroni si era invece fatto notare per le polemiche contro Roberto Saviano, ‘reo’ di aver messo il dito nella piaga, ovvero di aver affermato in televisione che le mafie erano abbondantemente penetrate al Nord, e che esse lì avevano trovato in qualche misura terreno ‘fertile’ per la loro espansione.
Salvini oggi è il leader di una Lega ‘nazionale’, che non basa la propria propaganda – almeno non ufficialmente – sui ‘terroni’, e in Calabria ha ottenuto il proprio seggio. Ogni volta che va al Sud, le cronache ci raccontano di bagni di folla e accoglienze trionfanti per il leader del Carroccio. La trasformazione ha sostituito l’obiettivo polemico: se una volta erano i meridionali, oggi sono gli immigrati. Proprio come Sacko e i suoi compagni, proprio come quei ragazzi che più volte hanno fatto sentire potente la loro voce contro la logica dello sfruttamento che giova tanto alle ‘ndrine e che tanta vergogna getta sulla Calabria.
Poche ore prima dell’omicidio, Salvini aveva detto che per i clandestini “la pacchia è finita”. Una pacchia che quei clandestini si godono nelle campagne calabresi, a pochi euro al giorno, funzionali al sistema dello sfruttamento, un sistema che quei giovani hanno cercato più volte di scardinare, come quando hanno protestato contro il caporalato per il tentativo di portare da 5 a 7 euro (su 25 al giorno) la ‘cresta’ sul salario. Una pacchia fatta di baracche di lamiera e di condizioni disumane. Una pacchia sulla quale ogni tanto si sofferma l’occhio dei media, per poi tornare a occuparsi di questioni evidentemente considerate più urgenti, degne di maggiore attenzione.
Nel 2016 l’ex deputato comunista ed ex sindaco di Rosarno Giuseppe Lavorato ha scritto un libro per raccontare quelle lotte, e la continuità con le lotte bracciantili dal secondo dopoguerra in poi, e per protestare contro l’indifferenza dei media e le passerelle inconcludenti dei politici. In quel testo dal titolo Rosarno. Conflitti sociali e lotte politiche in un crocevia di popoli, sofferenze e speranze (Città del Sole), il politico ha ricordato come “in questi ultimi anni alcuni settimanali nazionali hanno scoperto il grande malaffare che si consuma nell’agricoltura. Per scoprirlo prima, bastava porre attenzione ai nostri cortei di lotta degli anni 1999-2000. Quando a Rosarno, Polistena e in altri paesi della Piana migliaia di agricoltori, con i sindaci in testa, combattevano per chiedere i controlli severi dello Stato contro le truffe e le rapine perpetrate dalle ‘ndrine e dai loro complici. Negli stessi anni, invece, in alcune parti del nord del Paese si organizzavano manifestazioni per chiedere allo Stato di chiudere gli occhi sulle truffe delle quote latte. Anche allora, come negli anni 70, la stampa nazionale diede risalto a quest’ultimi, senza nemmeno adeguatamente biasimarli, anzi in alcuni casi coccolandoli. Ed oscurò le legittime battaglie che provenivano dalla Calabria e non diede alcuna informazione sul fatto che la lotta per l’affermazione della legalità, in quell’occasione, veniva dai territori più afflitti del Sud”.
Ecco, noi adesso ci aspettiamo che il ministro Salvini, parlamentare eletto in Calabria, pur ‘rappresentando la nazione’, si faccia non solo portavoce, ma che proponga azioni volte a contrastare lo sfruttamento. E che comprenda che i soggetti di diritto non si discriminano sulla base del colore della pelle, e che un lavoratore, clandestino, immigrato regolare, italiano che sia, è un lavoratore che ha diritto di non essere sfruttato. Perché in Calabria gli italiani hanno più volte affermato di stare accanto a quei migranti, di sentirsi compagni di una stessa lotta, la lotta per la dignità del lavoro, contro lo sfruttamento e contro la mafia. E i migranti ci hanno spiegato che la lotta per la dignità del lavoro è una lotta contro le mafie.