Il presidente dell'ente: "Le nostre stime preliminari dimostrano che il 19% della spesa pubblica, almeno il 40% di quella out-of-pocket e il 50% di quella intermediata non producono alcun ritorno in termini di salute. Se si intende realmente preservare la più grande conquista dei cittadini italiani, oltre ad aumentare il ritorno in termini di salute del denaro investito in sanità, è indispensabile invertire la rotta sul finanziamento pubblico"
Il Servizio sanitario nazionale è un quarantenne un po’ acciaccato con diverse patologie che rischiano di comprometterne la prognosi. La definizione è del presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta. Che in occasione della presentazione del terzo Rapporto sulla sostenibilità del Ssn realizzato dall’ente, punta il dito sul definanziamento della sanità pubblica. Rispetto al quale è prioritario invertire la rotta. Secondo i dati snocciolati dalla Fondazione, nel periodo 2013-2018 a fronte di quasi 7 miliardi di euro di aumento nominale del finanziamento, ne sono infatti “sopravvissuti” meno di 6 miliardi. E negli anni 2015-2018 l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica, ha sottratto, rispetto ai livelli programmati, ben 12,11 miliardi di euro.
“Con tale definanziamento progressivo – sottolinea Cartabellotta- l’Italia continua inesorabilmente a perdere terreno nel confronto con gli altri Paesi, con una percentuale di Pil e una spesa pro capite inferiori alla media Ocse e che si avvicinano sempre di più ai Paesi dell’Europa orientale“. E nessuna luce – secondo Gimbe – si scorge in fondo al tunnel visto che il Documento di economia e finanza del 2018, a fronte di una prevista crescita annua del Pil nominale del 3% nel triennio 2018 – 2020, riduce il rapporto spesa sanitaria/Pil dal 6,6% del 2018 al 6,4% del 2019, al 6,3% nel 2020 e 2021.
In particolare secondo il rapporto, la spesa sanitaria nel 2016 ammonta a 157,613 miliardi di euro, di cui 112,182 miliardi di spesa pubblica e 45,431 miliardi di spesa privata a loro volta composti da 5,601 miliardi di intermediata (3,831 miliardi da fondi sanitari, 593 miliardi da polizze individuali, 1,177 miliardi da altri enti) e ben 39,830 miliardi a carico delle famiglie. “Al di là di rivalutare cifre assolute e composizione percentuale della spesa sanitaria – spiega Cartabellotta – la vera sfida è identificare il ritorno in termini di salute delle risorse investite: le nostre stime preliminari dimostrano che il 19% della spesa pubblica, almeno il 40% di quella out-of-pocket e il 50% di quella intermediata non producono alcun ritorno in termini di salute”, evidenzia l’esperto.
Diverse criticità si rilevano, poi, secondo il Rapporto, nel capitolo Lea, i livelli essenziali di assistenza. Per Cartabellotta, “nell’impossibilità di aumentare il finanziamento pubblico è indispensabile rivalutare complessivamente tutte le prestazioni inserite nei Lea per attuare un consistente sfoltimento e mettere fine all’inaccettabile paradosso per cui in Italia convivono il paniere Lea più ricco (sulla carta) e un finanziamento pubblico tra i più bassi d’Europa”.
In questo quadro, si è progressivamente rafforzato il secondo pilastro, la sanità integrativa. “La proposta di affidarsi al secondo pilastro per garantire la sostenibilità del Ssn – spiega il presidente di Gimbe – si è progressivamente affermata per l’interazione di vari fattori: in particolare, nelle crepe di una normativa frammentata e incompleta che ha permesso alla sanità integrativa di diventare sostitutiva, si è insinuata una raffinata strategia di marketing alimentata da catastrofici, ma inverosimili, risultati sulla rinuncia alle cure”. Il Rapporto analizza in dettaglio il complesso ecosistema dei “terzi paganti” in sanità, le coperture offerte, l’impatto di fondi sanitari e polizze assicurative sulla spesa sanitaria e anche i potenziali effetti collaterali: dai rischi per la sostenibilità a quelli di privatizzazione, dall’aumento delle diseguaglianze all’incremento della spesa sanitaria, dal sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie alla frammentazione dei percorsi assistenziali.
Ecco, dunque, la prognosi. Al 2025, secondo le stime del Rapporto Gimbe, il fabbisogno del Ssn sarà di 220 miliardi. Con un incremento stimato della spesa sanitaria totale nel periodo 2017-2025 di 27 miliardi (9 miliardi di spesa pubblica e 18 miliardi privata) si arriverebbe nel 2025 a poco più di 184 miliardi. A questi si aggiungerebbero circa 15 miliardi dal recupero graduale di risorse da sprechi e inefficienze. Eppure, interviene Cartabellotta, “per raggiungere il fabbisogno stimato mancherebbero comunque ancora 20,5 miliardi, una cifra che impone scelte politiche ben precise“.
In altri termini, “visto che la soluzione non è sicuramente rappresentata dal secondo pilastro, senza un consistente rilancio del finanziamento pubblico sarà impossibile mantenere un servizio sanitario pubblico equo e universalistico – conclude – Visto che le azioni del prossimo esecutivo saranno cruciali per il futuro del Ssn, Gimbe monitorerà il programma di Governo per la sanità perché il diritto alla tutela della salute degli italiani è oggi più che mai condizionato da scelte politiche. Se si intende realmente preservare la più grande conquista dei cittadini italiani, oltre ad aumentare il ritorno in termini di salute del denaro investito in sanità, è indispensabile invertire la rotta sul finanziamento pubblico”.
Insomma, c’è da sperare che saranno attentamente monitorate le promesse di Giuseppe Conte, che nel suo discorso programmatico in Senato si è impegnato a invertire la tendenza delineata da Def , “per garantire la necessaria equità nell’accesso alle cure. Le differenze socioeconomiche non possono, non devono risultare discriminanti ai fini della tutela della salute per i cittadini del nostro Paese. Perseguiremo una maggiore efficienza nell’erogazione dei servizi, sia in ordine ai volumi, alla qualità e agli esiti delle cure, sia in ordine alla gestione dei conti”.