Apicoltori, aziende bio e decine di associazioni del territorio si sono rivolti al Tar Lazio contro l'utilizzo di insetticidi in tutto il Sud della Puglia. Intanto il movimento fondato da Varoufakis deposita una denuncia a Bruxelles contestando che il provvedimento "non è stato mai notificato a Bruxelles”
Dalla disobbedienza sui campi e nei municipi alla guerra in tribunale. Con tanto di denunce in sede europea. È dura la vita per il “decreto Martina”. Sono tre i ricorsi notificati nelle scorse ore contro il provvedimento che porta il nome dell’ex ministro Pd alle Politiche agricole e impone l’utilizzo di insetticidi nella Puglia meridionale. È questa la più contestata delle “misure di emergenza per la prevenzione, il controllo e l’eradicazione di Xylella fastidiosa”, il batterio che è tra le cause del disseccamento rapido dell’olivo e rilevato da qualche settimana anche nel Barese. Diem25, il movimento fondato da Yanis Varoufakis, ha inoltre presentato un esposto alla Commissione Ue chiedendo il blocco del decreto, ritenuto illegittimo anche perché mai notificato a Bruxelles. “I termini per farlo sono scaduti ieri”, hanno spiegato a Lecce i coordinatori.
L’atto targato Martina, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 6 aprile scorso, ricalca fedelmente, anche nelle virgole, quello del 2016. Con una sola eccezione: i trattamenti insetticidi voluti per combattere la popolazione degli insetti vettori del patogeno, le sputacchine, non sono più “fortemente raccomandati”, come due anni fa, bensì “obbligatori”, come ai tempi del Piano del commissario Giuseppe Silletti. Sono quattro all’anno le irrorazioni prescritte, a partire dal 1 maggio fino al 31 dicembre, con sostanze che un’apposita tabella riporta, includendo anche i tanto discussi neonicotinoidi, ritenuti causa della moria delle api.
Per un mese hanno dato battaglia agricoltori biologici, associazioni di tutela dell’ambiente e dottori, soprattutto. Isde nazionale, Lilt Lecce, Ordine dei Medici di Lecce hanno puntato il dito contro l’impiego massiccio, praticamente a tappeto, di pesticidi. Quel mix di principi attivi, ritenuti niente affatto neutri per la salute, deve essere impiegato in un’area molto vasta, dal Capo di Leuca ai confini della provincia di Bari. Senza alcuna valutazione degli impatti. Tra l’altro, senza nessuno studio sulla utilità. Prevedendo, per contro, multe fino a mille euro per chi non si attiene.
Dopo la campagna di disobbedienza lanciata da un centinaio di associazioni e aziende, dieci sindaci leccesi hanno scelto di sospendere l’applicazione del decreto sul proprio territorio, andando incontro a un braccio di ferro con la Regione Puglia, che lavora per rendere inefficaci le loro ordinanze. Altri Comuni stanno valutando il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Nel frattempo, al Tar Lazio hanno deciso di rivolgersi 42 apicoltori, 13 aziende bio e decine di associazioni del territorio, con testa d’ariete due organizzazioni riconosciute dal Ministero dell’Ambiente, Vas e Codici Ambiente. I loro tre separati ricorsi, curati dall’avvocato Mariano Alterio, sono stati notificati in mattinata a Regione e Avvocatura dello Stato, con richiesta di misura cautelare sospensiva.
Tra i motivi d’impugnazione c’è che, secondo i ricorrenti, il decreto si è concesso una licenza non da poco: in nessuna delle decisioni della Commissione Ue, richiamate come fondamento, è previsto l’obbligo diffuso di trattamenti insetticidi. Poi, ci sono le ragioni di tutela della salute e dell’ecosistema: non sono previste deroghe ed eccezioni neppure per aree protette e parchi né per aree sensibili, come quelle frequentate da bambini, poiché, stando alla lettera del decreto, vanno irrorate tutte le piante “specificate”, vale a dire quelle ritenute attaccabili da Xylella. E la lista è corposa: dagli ulivi ai mandorli, dai ciliegi alla macchia mediterranea e molto altro.
Infine, ci sono i dettagli che condizionano la vita delle aziende: l’uso intensivo di neonicotinoidi rischia di condannare a morte la popolazione delle api e “noi dovremmo spostarci in un’altra regione per continuare a lavorare”, hanno spiegato gli apicoltori riuniti in tre associazioni regionali. Per le aziende bio, l’alternativa alla chimica sarebbe l’olio essenziale d’arancio, la cui registrazione sull’olivo, però, è scaduta nel 2015 e non è mai stata rinnovata. La Regione ha chiesto una deroga al ministero, stabilendo che nel frattempo gli agricoltori naturali possano usare le piretrine, che, stando alla stessa tabella riportata dal Ministero nel decreto, sulla sputacchina hanno una efficacia classificata come “media” e soltanto per 3 giorni.
Questioni di chi la terra la lavora e la vive, ma anche di giuristi. “Il decreto Martina è illegittimo – hanno incalzato da Lecce gli esponenti di Diem25 – perché, in virtù dell’articolo 16 della direttiva 2009/29/CE, le autorità nazionali sono tenute a comunicare alla Commissione tutte le misure di protezione adottate o previste per contrastare la presenza di organismi nocivi”. Un passaggio ritenuto fondamentale ma scavalcato a piè pari. Se il provvedimento verrà notificato tardivamente, in ogni caso rischia di scontrarsi con le stesse normative europee di settore che l’Italia ha già sottoscritto e recepito. Tra le altre, la direttiva del 2009 sull’utilizzo sostenibile dei pesticidi e i regolamenti che vietano l’uso fuori serra dell’Imidacloprid, sostanza neonicotinoide che comunque la Regione ha escluso nella sua determina di attuazione del 22 maggio scorso. Da qui la richiesta di blocco del decreto.