L’auto elettrica, in Italia, ancora non ingrana. Secondo le stime dell’Unrae, l’associazione delle case estere che operano nel nostro Paese, sulle strade italiane ne circolano solo 11.500 unità. E i modelli a emissioni zero proposti sul mercato valgono solo lo 0,16% dell’offerta totale. Un po’ come l’andamento del mercato stesso, che a questa tipologia di veicoli accredita solo lo 0,2% delle immatricolazioni totali nei primi cinque mesi del 2018.
I problemi? Quelli soliti: prezzi ancora elevati, e qui è soprattutto il pacchetto batterie a pesare, e infrastrutture insufficienti. Basti pensare che in Italia ci sono solo 4.200 punti di ricarica pubblici (anche se un piano di Enel X prevede di installarne 7000 entro il 2020), mentre in Germania oltre 22 mila . Anche prendendo in considerazione il rapporto tra questi ultimi e gli abitanti, nel nostro Paese ce n’è uno ogni 14 mila, mentre ad esempio nei Paesi Bassi uno ogni 1.660.
Da queste premesse, a cui si aggiunge l’anzianità del parco circolante e i relativi problemi di inquinamento, è nata la necessità di creare qualcosa di nuovo. Che aiuti nella fase di transizione verso una mobilità più consapevole e meno impattante sull’ambiente. Anzi, per nulla.
Quel “qualcosa” si chiama Motus-E, ed è un’associazione senza scopo di lucro fondata da ALD Automotive Italia, Enel X, ABB, Volkswagen Group Italia, Allianz, Cobat – Consorzio Nazionale Raccolta e Riciclo e Politecnico di Milano. Diversi attori dunque (si spazia dal costruttore tradizionale al provider di energia, passando per mondo accademico e multinazionali del noleggio a lungo termine), che si sono uniti con lo scopo comune di favorire la transizione di cui sopra verso l’elettrico.
Cosa farà in concreto questa associazione? Innanzitutto attività di lobbying, nell’accezione positiva della parola. Ovvero porsi come interlocutore accreditato nei confronti di istituzioni e stakeholder, ricoprendo un ruolo attivo nei vari tavoli tecnici di lavoro e workshop sulla mobilità a elettroni. Parallelamente, è previsto il coinvolgimento di università e centri di ricerca per formare professionalità legate al settore. Basterà per diffondere una cultura dell’elettrico? Non è dato saperlo, ma è comunque un primo passo.