di Federica Pistono*
La condizione femminile nel mondo arabo e islamico rappresenta, come è noto, una delle tematiche che maggiormente attraggono il lettore occidentale, il quale spesso non riesce a sfuggire ai troppi stereotipi sull’argomento. Se è innegabile la presenza di questioni spinose relative alla vita pubblica e privata della donna araba e musulmana, è doveroso precisare come tali problematiche siano legate anche e soprattutto alle specificità storiche, politiche e geografiche delle diverse regioni del mondo arabo-islamico.
Al di là delle indiscutibili difficoltà (troppo spesso drammatiche) che la condizione femminile porta con sé, è innegabile che negli ultimi decenni la donna araba possa vantare notevoli conquiste nel settore lavorativo, personale e artistico. Molte sono le autrici che, nelle loro opere letterarie, hanno rappresentato la condizione femminile, ciascuna nella specificità del proprio Paese. Leggendo le opere delle scrittrici arabe, il lettore influenzato dai pregiudizi non può non rimanere sorpreso dalla profondità, dalla sincerità e, spesso, dalla spregiudicatezza con cui le donne arabe si raccontano.
Dal Libano giunge la voce di Hanan al-Shaykh che, nel suo romanzo Donne nel deserto (Jouvence, 2001, trad. S. Pagani) ci offre una serie di sguardi – dall’interno e dall’esterno – sul mondo femminile, sguardi che svelano intimità gelosamente custodite. Protagoniste del romanzo sono quattro donne, i cui destini che si incontrano sullo sfondo del deserto di un Paese del Golfo: Suhà, una libanese colta, fuggita dalla fiamme della Beirut della guerra civile; Suzanne, un’americana che nel deserto insegue una possibilità di autoaffermazione; Nur, una beduina ricca e disinibita, che cerca di evadere dalla noia attraverso il sesso; infine Tamar, una turca ripudiata dal marito, in cerca di lavoro.
Il romanzo si articola in quattro sezioni in ciascuna delle quali si esprime una narratrice diversa, provocando l’effetto finale di un romanzo con quattro voci narranti. Le storie sono raccontate in modo disinvolto e trasgressivo, al di là degli stereotipi sulle donne arabe: dall’amore al sesso, dalla magia all’economia, in un deserto caratterizzato più da finti prati all’inglese che da oasi e cammelli. Non mancano episodi incentrati su amori etero e omosessuali.
Forse la più celebre voce femminile araba è quella di Nawal al-Sa’dawi che – famosissima nel mondo anglosassone – è l’autrice egiziana più conosciuta nel nostro Paese, nota per aver saputo attirare l’interesse nell’Occidente femminista e militante. Molto suggestivo il suo ultimo romanzo Zeina (Atmosphere Libri, 2018, trad F. Pistono), un inedito affresco dell’Egitto contemporaneo. L’opera, focalizzata principalmente sulla condizione femminile, tocca diversi argomenti, fra i quali il problema del fondamentalismo islamico. Il libro può considerarsi un ritratto impietoso della società egiziana, descritta senza veli in tutti i suoi vizi: corruzione, vanità, avidità, falsa meritocrazia, ipocrisia fatta di apparenze da salvare, misoginia, maschilismo.
Il romanzo narra la storia di due donne, Budur e Zeina, madre e figlia. Budur, docente universitaria e famoso critico letterario, nasconde un passato pesante: prima di sposarsi, ha vissuto una storia d’amore segreta con un giovane rivoluzionario, arrestato e ucciso in carcere. Dalla relazione è nata Zeina, che la madre ha abbandonato sul ciglio di un marciapiede de Il Cairo. La bambina è cresciuta in strada, dove ha conosciuto la violenza e la prepotenza, imparando non solo a sopravvivere, ma soprattutto a vivere a testa alta e a diventare un’artista di successo.
Dopo aver abbandonato la figlia, Budur ha sposato Zakariyya, un famoso giornalista, rinchiudendosi in un matrimonio squallido, fondato sulla convenienza e sull’ipocrisia. Giunta alla mezza età, scrive un romanzo, che in realtà rappresenta un tentativo di auto-analisi. Il manoscritto viene misteriosamente rubato e l’indagine sullo strano furto costringe la donna a un oscuro viaggio nel proprio passato e nei propri errori e all’esigenza di rimodellare il proprio futuro.
Dall’Arabia Saudita giunge la voce di Laila al-Giuhni che, nel suo romanzo Il canto perduto (Ilisso, 2007, trad. F. Addabbo) ci presenta un interessante spaccato dell’universo femminile saudita. Dai monologhi della protagonista, la nubile Sabà, apprendiamo che la ragazza è incinta e intende abortire. La giovane, identificandosi con la città di Gedda, si impegna in una lotta esiziale per la libertà sentimentale e sessuale. Il romanzo rappresenta la coraggiosa e lucida denuncia di una città e di un mondo fatto di divieti e proibizioni. Come la conchiglia che la protagonista stringe tra le mani nel finale del romanzo, così la città è un immenso, durissimo guscio, che contiene donne prigioniere di un mondo in cui “i sogni si possono soltanto sussurrare”.
*Traduttrice ed esperta di letteratura araba