Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e ben tre ministri – Alfonso Bonafede, Giulia Bongiorno e Erika Stefani -, di cui uno di peso massimo (Giustizia) e una di peso medio massimo (Pubblica amministrazione) sono avvocati.
Per anni abbiamo sentito ripetere la solfa che l’avvocatura è una lobby potente, salvo nella realtà essere una “lobby” incapace di tutelare le proprie prerogative, atteso che negli ultimi tre decenni è cresciuta esponenzialmente di numero (242mila), ha avuto una notevole contrazione reddituale (tornata al reddito medio di 10 anni fa), ha subito riforme legislative (a conferma che l’avvocatura non legifera) di ogni tipo con l’aggravio di oneri e adempimenti (dai processi telematici a singhiozzo e ben diversi tra loro a conferma di una schizofrenia dell’organizzazione della Pubblica Amministrazione, con uno sperpero abnorme di denaro; dalla creazione di prassi, protocolli e giurisprudenza creative, contraddittorie e geografiche etc.), ha patito un inasprimento del rapporto con il cliente (che paga quando vuole, pretendendo però tutto subito), è bistrattata dallo Stato (gratuito patrocinio liquidato a distanza di anni; termini processuali perentori ma per la magistratura sempre ordinatori) ed altro ancora.
La lobby è tale solo quando è compatta, unita, di peso. Esattamente quello che non è e non è mai stata l’avvocatura italiana, troppo individualista e troppo divisa al proprio interno. Oltre che essere guidata da una classe “politica” espressa con sistemi elettorali molto discutibili. Ora però finalmente l’avvocatura ha espresso figure super apicali: il presidente del Consiglio e ben tre ministri. Tra cui il Guardasigilli.
Il premier ha esordito con “Sarò l’avvocato del popolo italiano” dando pregio e risalto alle proprie funzioni forensi ma, al contempo, assumendo su di sé una grande responsabilità. Non solo quella dell’investitura istituzionale ma anche connotandola con la volontà di esercitarla con l’intento di preoccuparsi di preservare i diritti (fondamentali, perlomeno) di tutti i cittadini. Dunque a partire dai più deboli, ovviamente. Un proclama che per molti è solo populista.
In realtà egli ha espresso quello che in questi anni ho scritto più volte (dal 2011), indicando l’opportunità di riscoprire (o di rispolverare) anche le funzioni sociali dell’avvocato, tra cui la vocazione a dover occuparsi dei soggetti più deboli e indifesi, contro i più forti, i più arroganti, i più impuniti. E tra questi non ci sono solo i c.d. poteri forti (banche, case farmaceutiche, compagnie telefoniche, assicurazioni, monopolisti etc.) ma spesso lo Stato stesso (Agenzia delle Entrate, Inps, Enti locali etc.) che agisce sempre e comunque contando sulla benevolenza dei giudici (che raramente lo condannano alle spese legali o che ancora si trovano in un’evidente sudditanza: Giudice amministrativo e Giudice tributario).
Funzioni sociali e ruolo costituzionale dell’avvocatura riscoperti in questi anni anche dal Consiglio nazionale forense (il prossimo congresso a Catania il 4/6 ottobre sarà sulla “condizione del sistema giustizia e sul rilievo costituzionale e giurisdizionale dell’avvocatura”). L’avvocatura oggi ha un’enorme responsabilità: poter dimostrare, attraverso i suoi componenti apicali (ricordiamo pure dal 2014 Giovanni Legnini, vicepresidente del Csm), di essere all’altezza di tali compiti. Di essere seria, preparata, etica, onesta, equidistante e non influenzabile. Di poter essere una classe dirigente matura.
Nell’auspicio che un tale segnale possa poi essere colto positivamente verso il basso, abbandonandosi logiche politiche tradizionali votate solo all’occupazione e alla bramosia di potere (possibilmente in eterno) all’isolamento e al disprezzo delle poche voci dissonanti, alla strumentalizzazione o quanto meno confusione e sovrapposizione di ruoli apicali per fini politici nazionali (come avvenuto negli ultimi mesi), alla riluttanza verso ogni forma di trasparenza e tanto altro ancora.
Il mio personale augurio è che chi stia al vertice della piramide si ricordi di essere d’esempio pure per nobilitare l’avvocatura. Per smuovere animi e passione. “Essere avvocato” deve essere un onore e lo si deve dimostrare di continuo. E non “fare l’avvocato”, che è tutt’altra cosa. Perché non basta evocare (spesso a sproposito) l’insigne giurista Francesco Carnelutti per gonfiarsi il petto. Occorre tradurlo ogni giorno, con i gesti, con l’azione, con le parole. Perché non basta citare i tanti avvocati morti eroicamente sul campo (da Fulvio Croce a Giorgio Ambrosoli, da Serafino Famà a Enzo Fragalà) per lavarsi la toga. Occorre serbarne il ricordo ogni momento nello svolgimento della professione e durante la propria vita, fremendo d’orgoglio di essere avvocato.