Da 42,8 a 44,3%. In due anni, la raccolta differenziata a Roma è cresciuta pochissimo. E così, mentre Virginia Raggi e Nicola Zingaretti continuano a litigare sulle rispettive competenze burocratiche, per la Capitale “si fa sempre più incombente l’ombra di un commissario”. Nel suo dossier 2018, Legambiente traccia un quadro piuttosto preoccupante rispetto a quello attuale, ovvero l’estrema fragilità del sistema di gestione e smaltimento dei rifiuti a Roma. Difficoltà strutturali che pesano su molti altri territori italiani e stranieri, costretti a bruciare in casa loro oltre il 40% dell’immondizia prodotta dai quasi 3 milioni di cittadini romani. E se la differenziata non cresce fino ai livelli auspicati da Raggi per il 2021 (71%), prima o poi il Campidoglio sarà costretto a indicare alla Regione Lazio un sito dove realizzare la tanto temuta discarica di servizio.
I NUMERI DELLA RACCOLTA – L’associazione ambientalista ha confrontato i dati 2016 e 2017 sia della produzione dei rifiuti di Roma sia sulle modalità di raccolta e di gestione. La Capitale produce circa 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti annui totali, con una media giornaliera di 4.700. La differenziata, secondo Legambiente, cresce di un punto e mezzo tra il 2016 e il 2017 (dal 42,8 al 44,3%), una crescita bassissima, tenendo conto che nel biennio 2013-2015 si era passati dal 31 al 41%. Non solo, la diffusione del porta a porta è ferma a poco meno del 33% delle utenze nel 2017 (stesso dato dal 2016), “e l’ambizioso programma del Campidoglio per il raggiungimento nei prossimi tre anni del 70% di differenziata sembra compromesso considerando questi dati, a meno di un cambio di rotta deciso”. Sempre in tema di differenziata, “sul territorio romano c’è una disomogeneità totale nella modalità di raccolta per i 15 municipi: è positivo il superamento del 50% delle utenze passate al porta a porta all’Eur, Tor Bella Monaca e Centro Storico, mentre risulta fanalino di coda il Prenestino con soli cassonetti”. Dai numeri emerge che i municipi II, III, VII, VIII, XI e XII nella migliore delle situazioni (XI) non superano il 16,71% di copertura della raccolta porta a porta, il XIII è al 23,85%, il XV al 29,38%, il XIV al 33,89% e il X al 49,63%. Pertanto, diventa inevitabile che la parte del leone la facciano i rifiuti che finiscono in discariche o negli inceneritori: “Quasi il 60% dei rifiuti viene bruciato o mandato in discarica, anche se altrove rispetto a Roma – ha detto Roberto Scacchi, presidente di Legambiente Lazio – Più di 700mila tonnellate, il 41% del totale, sono state bruciate nei termovalorizzatori di altri territori”. Fra le città che ricevono i rifiuti romani vi sono San Vittore (Frosinone), Aprilia (Latina), Avezzano e Ravenna, ma anche impianti in Austria (con cui sta scadendo la convenzione stipulata da Ignazio Marino), Germania e Portogallo. E a disposizione per ulteriori emergenze ci sono anche accordi con le regioni Umbria, Toscana e Puglia.
L’EQUIVOCO FILIERE E LA RISSA ISTITUZIONALE – Insomma, da due anni la situazione è pressoché ferma e Roma non va in emergenza solo perché il resto del Paese è pronta ad aiutarla. Ma fino a quando? In occasione delle imminenti elezioni amministrative, nei giorni scorsi si è riproposta la rissa a suon di dichiarazioni fra Raggi e Zingaretti. La sindaca afferma che è il governatore Dem a dover indicare un piano rifiuti da utilizzare tout court, lui risponde che in realtà è il Comune a dover indicare il sito sul proprio territorio e il tipo di impianto da realizzare, lei continua a controbattere che ha già chiesto la realizzazione di due impianti, a Casal Selce e Cesano. L’equivoco, in verità, sta nel fatto che le due strutture indicate dal Comune riguardano la filiera del rifiuto organico, mentre il problema serio è rappresentato da quel 60% di differenziato (circa 1 milione di tonnellate) che la città ancora produce e per il quale né Ignazio Marino prima – che ordinò la chiusura di Malagrotta senza dare alternative – né la sindaca M5s oggi si sono mai presi la responsabilità di indicare un sito ad hoc. D’altra parte, l’attuale governo regionale non ha alcun interesse a cadere nella trappola di “commissariare” la sindaca e prendere una decisione tanto impopolare e difficile da spiegare. Un ruolo che spetterebbe al Governo, men che mai disponibile (ieri come oggi) a prendersi questa patata bollente. Così, si va avanti a oltranza sperando che qualcuno prima o poi sollevi la Capitale (e la sua classe politica) dalle proprie responsabilità.