A Vicenza il fisico Otello Dalla Rosa e a Treviso l’avvocato Giovanni Manildo prova l’impresa: far resistere due puntini rossi sulla mappa della politica veneta. Domenica si rinnovano i consigli comunali dei due capoluoghi di provincia che attuale sono in mano al centrosinistra. A Vicenza il Pd ha governato per due mandati con Achille Variati. A Treviso cinque anni fa al candidato Manildo era riuscito il colpaccio di infrangere il monopolio leghista che continuava da parecchi lustri, dai tempi in cui Giancarlo Gentilini predicava di sparare agli extracomunitari come fossero leprotti. Ma adesso entrambe le poltrone, in due delle città venete più ricche e industrializzate, sembrano pronte per un cambio di casacca. In modi tra loro diversi.
“È una tristezza. Gli attivisti Cinquestelle sono disorientati. A Vicenza c’è il vuoto, in questa legislatura avevamo due consiglieri comunali, dall’11 giugno non ne avremo più nessuno. E non ci hanno ancora spiegato perche M5s non ha autorizzato la mia candidatura”, l’avvocato Francesco Di Bartolo fa il punto così sulla grande assenza dei grillini in una città dove a marzo hanno conquistato il 22,32 per cento, secondi solo alla Lega con il 25,84. L’uso del simbolo non ha avuto il placet e la lista, già bella e pronta, è scomparsa. Così se la giocano Otello Dalla Rosa (che alle primarie sconfisse il delfino di Variati, il vicesindaco Jacopo Bulgarini d’Elci) e l’avvocato Francesco Rucco a capo di una civica di centrodestra. Non dovrebbe esserci partita per gli altri: Filippo Albertin di Potere al Popolo, Franca Equizi di Grande nord, Andrea Maroso di Siamo Veneto e Leonardo Bano di No privilegi politici.
A fare di Vicenza un caso non è solo l’assenza di M5S, ma anche la strana candidatura di centrodestra. L’avvocato Rucco, infatti, proveniente da Alleanza Nazionale, confluì a suo tempo nel Partito della Libertà, salvo poi uscirne per dissenso sulla linea politica e approdare la scorsa legislatura in una lista civica di Manuela Dal Lago, leghista di lungo corso e dalle molte poltrone. Rucco ha giocato d’anticipo, ha presentato una sua lista e ha aspettato di vedere che cosa facevano Lega e Forza Italia. Al partito di Berlusconi spettava la scelta del candidato, in base a un accordo di coalizione, avendo ceduto quello di Treviso.
Ma Forza Italia non è riuscita a trovare una candidatura convincente, la Lega si è indispettita e dopo le elezioni politiche di marzo ha annunciato che sarebbe andata per conto proprio, appoggiando Rucco. Forza Italia si è trovata con il cerino in mano. Senza un candidato e senza un alleato, si è allineata su Rucco. Ma a questo punto anche senza troppa convinzione, per aver subìto l’ultimo schiaffo dai leghisti, dopo l’umiliazione elettorale. Grana non da poco, per Rucco, i post di una decina di candidati di tre delle sei liste che lo appoggiano, infarcite di camicie nere e riferimenti nostalgici al fascismo. Lui ha preso le distanze e assicura che, se eletti, gli interessati si dimetteranno o almeno chiederà loro di farlo.
A marzo il peso elettorale a Vicenza fu il seguente: centrodestra 40,96 per cento, con Lega al 25,84, Forza Italia al 10,24, Fratelli d’Italia al 5,54 e Udc all’1,1 per cento; centrosinistra al 22,84 per cento con Pd al 21,32. Teoricamente Rucco ha l’elezione in tasca, ma sarà una lotta punto percentuale su punto percentuale. A decidere potrebbero essere gli elettori grillini rimasti senza candidato. Non è un caso se il neoministro Matteo Salvini si è precipitato a Vicenza (e Treviso), perché vuole sfruttare il vento in poppa. E vincere. Da Vicenza ha annunciato, assieme al neoministro agli Affari regionali, la vicentina Erika Stefani, che il Veneto avrà l’autonomia. “Adesso dipende tutto da Luca Zaia. Noi l’abbiamo messa ai primi punti del programma di governo, il presidente del consiglio è d’accordo, il ministro competente è della Lega, vicentino. Quindi appena Lombardia, Veneto, Emilia Romagna sono pronte, credo si possa partire”. E sugli immigrati Salvini ha lanciato proprio da Vicenza la linea dura: “Meno soldi e meno tempo spesi per loro. Più poliziotti, più militari, più vigili del fuoco per gli italiani”.
A Treviso il sindaco uscente Giovanni Manildo deve combattere una battaglia aspra nel cuore del potere leghista. Mario Conte, capogruppo uscente del Carroccio in consiglio comunale e fresco di elezione in Parlamento, è riuscito a portare con sé anche Giancarlo Gentilini, che l’anno scorso ha rischiato addirittura l’espulsione per aver sparato contro il poltronificio leghista, tra partecipate e consigli di amministrazione. Nessuna rottura con la vecchia guardia, tutti uniti per riprendersi Palazzo dei Trecento. Anche in questo caso i risultati elettorali di marzo sono a favore di Lega e centrodestra, che ha ottenuto il 41,59 per cento: Lega 27,12, Forza Italia 10,66, Fratelli d’Italia 4,25 e Udc 0,55 per cento. Il centrosinistra è arrivato al 29,64 per cento, con il Pd al 23,18 e Più Europa al 5,28 per cento. Qui i Cinquestelle (20,62 per cento a merzo, terzo partito) ci sono con Domenico Losappio. A completare i concorrenti, Maristella Caldato per Treviso unica-Tu, Said Chaibi per Coalizione civica e Carla Condurso per il Popolo della famiglia.
Conte è scivolato su una buccia di banana. Il segretario generale del Comune, Otello Paraluppi, in qualità di responsabile del rispetto delle norme sull’anticorruzione e sulla trasparenza degli amministratori pubblici, ha condotto accertamenti sugli incarichi extra-comunali del candidato leghista che nel 2013 fu eletto nella Lista Gentilini. Per cinque anni non ha dichiarato di essere stato amministratore di una società a responsabilità limitata, la Maw attiva nel settore edile, dichiarata fallita nel 2016. La mancata comunicazione non è però soggetta a sanzione. Basta che l’interessato completi la dichiarazione con i dati omessi. Conte lo ha fatto in extremis, il 21 maggio. E ai giornali locali ha spiegato: “Ho ceduto le quote di Maw srl il 10 aprile 2012, estraniandomi di fatto dalla società. Il mantenimento formale di tale carica è dovuto a una leggerezza in fase di redazione dell’atto di cessione”.
Manildo ha impostato la sua campagna elettorale sull’amore per Treviso, che ritiene di aver amministrato bene per cinque anni. E visivamente ha affidato il messaggio a un grande cuore. Con una lista di impostazione civica ha cercato di smarcarsi dal riferimento al Pd che nella Marca non ha un particolare appeal, se si pensa che non ha espresso un solo rappresentante in Parlamento. Il sindaco uscente si affida anche agli extracomunitari, polemizzando con le politiche leghisti sull’accoglienza. E il segretario del Pd, Giovanni Zorzi insinua: “Le decisioni su Treviso le prenderanno a Venezia e a Roma”. Ovvero il governatore Luca Zaia e il ministro Matteo Salvini.