L'economista Perotti: "Per evitare un buco nei conti ogni euro di tasse risparmiate dovrebbe tradursi in 2,5 euro di spese aggiuntive. Inaudito". Daveri: "Se si finanzia in deficit non è sostenibile, quindi scoraggia le imprese dall'investire. I consumi? I maggiori vantaggi saranno per i ricchi, che risparmiano di più in proporzione al reddito". Fantacci: "Con i tagli di Reagan esplose il debito, in Gran Bretagna la Thatcher lo evitò decimando i servizi. E crebbe la disuguaglianza". In Russia dopo la riforma gli introiti fiscali sono saliti, ma la spiegazione sta nell'aumento del prezzo del petrolio e dei salari
Più o meno è come scommettere che chi risparmia 100 euro di tasse decida, per festeggiare, di spenderne 250. E li usi per comprare non uno smartphone cinese ma una borsa made in Italy. O che un’impresa straniera decida di venire a produrre in Italia perché è diminuita l’Ires, nonostante la burocrazia, il sistema bancario debole e gli altri difetti atavici che Bruxelles puntualmente ci contesta e nonostante in Irlanda la tassazione resti comunque più conveniente. Le probabilità di vincita, secondo gli economisti interpellati dal fattoquotidiano.it, sono poche. I precedenti non fanno ben sperare: nella storia non c’è traccia di un taglio fiscale (flat tax o dual tax che dir si voglia) della portata di quello previsto dal contratto di governo Lega-M5s che, a parità di altre condizioni, abbia fatto aumentare il pil senza creare un buco nei conti pubblici.
“Perché il taglio si ripaghi dovrebbe avere un effetto inaudito sul pil” – “Applicare la cosiddetta flat tax a famiglie e imprese costerebbe 50-60 miliardi“, premette Roberto Perotti, ordinario di economia politica all’università Bocconi ed ex consigliere del governo Renzi per la revisione della spesa (fino alle dimissioni in polemica con l’ex premier). Per valutare se ne valga la pena basta fare qualche calcolo: “Perché faccia crescere il Paese senza aprire un buco nei conti, dovrebbe fare aumentare il pil di almeno 120 miliardi. Vale a dire che ogni euro di tasse risparmiate dal contribuente dovrebbe tradursi in 2,5 euro di consumi aggiuntivi. Un moltiplicatore del genere è inaudito“. “Sicuramente un effetto sui consumi ci sarebbe”, aggiunge Massimo Baldini, che insegna Scienza delle Finanza all’università di Modena e Reggio Emilia, “ma in che misura si tratterà di consumi di beni importati? Visto che siamo un’economia aperta, questo dipende dalla capacità dell’industria nazionale di produrre i beni che le famiglie vogliono. La nostra struttura produttiva, soprattutto in alcune zone, non è in grado di farlo, e dubito che sia capace di rinnovarsi in maniera rapida”. Risultato: la spesa aggiuntiva rischia di andare soprattutto a vantaggio dei partner Ue – si pensi all’industria tedesca dell’auto – o dei grandi produttori asiatici e statunitensi di elettronica e beni di consumo.