Ah, come ci stiamo divertendo. Dopo la telenovela della formazione del governo, che abbiamo seguito con il fiato sospeso, è iniziato un altro tormentone: il governo del Cambiamento. Complice l’arrivo dell’estate, che predispone all’intrattenimento, tutti si aspettano grandi cose: rimpatri di massa, dichiarazioni di guerra a Malta, per ora mancano le retate degli oppositori, come in Russia, ma solo perché non esistono, gli oppositori.
L’unica cosa che stride un po’ con il divertimento di massa è l’impennata dello spread, arrivato a 270: più o meno il doppio di quanto ci possiamo permettere. Quando poi a dicembre la Bce smetterà di comprare titoli di Stato italiani, facendolo schizzare a quote berlusconiane, allora il serial virerà definitivamente verso l’horror, nel senso della macelleria sociale. Una volta si diceva “ballare sul ponte del Titanic”. Ma oggi, nel meraviglioso mondo dell’informazione-spettacolo, servono metafore più cazzute. A questo proposito, checché ne dica la redazione, trovo inevitabile ricorrere a una metafora – metafora si può dire, non è una parolaccia. Chiedo scusa preventivamente a tutti, ma la greve metafora cattura perfettamente la situazione. Credo sia stata inventata da alcuni comici genovesi di mia conoscenza, ma in romanesco è diventata «Fare i froci con il culo degli altri».
Provo a dirlo con parole mie: dai tempi della premiata ditta Craxi&Andreotti – prima eravamo un paese normale – lo Stato italiano si finanzia in modo crescente non solo con le imposte ma anche, per non aumentare ulteriormente le imposte, con titoli pubblici, che ormai servono anche a pagare stipendi, pensioni, investimenti ecc. È questo il mitico debito pubblico, arrivato a 2.300 (duemilatrecento) miliardi, da rimborsare ogni anno, naturalmente emettendo nuovi titoli pubblici, e così all’infinito. Con un codicillo divertente: che se risparmiatori, le banche, i fondi d’investimento, o anche solo gli algoritmi che regolano i loro programmi informatici, smettono di comprarli, perché pensano che poi lo Stato italiano non li rimborserà, addio stipendi, pensioni, investimenti, ecc..
E qui di solito si alza subito il coro: fatelo pagare a chi l’ha prodotto, il debito pubblico. Già, ma Craxi e Andreotti sono morti, e anche i loro eredi 2.300 (duemilatrecento) miliardi, ogni anno, non ce l’hanno, neanche facendo un mutuo. Giunti a questo punto, del resto, tutti i lettori che sono risparmiatori, dipendenti dello Stato e/o pensionati italiani, e che con una mano investono in titoli dello Stato, con l’altra ritirano stipendi e pensioni e non ne hanno una terza per pararsi il didietro, sempre lui, forse hanno già capito la morale della storia. Chi parla di non pagare il debito per fare un dispetto alle banche e ai poteri forti fa appunto il frocio con il nostro povero culo. E forse, se questo può consolarci, pure con il proprio.