Rassicura i mercati: “Non è in discussione alcun proposito di uscire dall’euro. Il governo è determinato a impedire in ogni modo che si materializzino condizioni di mercato che spingano all’uscita. Non è solo che noi non vogliamo uscire: agiremo in modo tale che non si avvicinino condizioni che possano mettere in discussione la nostra presenza nell’euro”. Garantisce che “la fiducia sulla nostra stabilità finanziaria” è “il presupposto della nostra strategia“. E frena sugli impegni contenuti nel contratto di governo: “Non sarebbe serio indicare numeri prima di un riesame complessivo”. In ogni caso, “non puntiamo al rilancio della crescita tramite deficit spending” e “dobbiamo liberare risorse entro un vincolo di credibilità“. Altolà, poi, ai mini-Bot, di fatto una moneta parallela da usare per pagare i debiti dello Stato nei confronti delle imprese: “Il modo migliore di affrontare il problema (dei debiti della pubblica amministrazione, ndr) sia eliminarlo alla radice (…). Con soluzioni tampone non si risolve nulla”.
La prima intervista del neo ministro dell’Economia, Giovanni Tria, contiene un messaggio chiarissimo: prima occorre rifare i conti – l’occasione sarà la nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza da presentare in settembre – sulla crescita attesa, solo dopo si potrà valutare se e in che tempi a mettere in campo le misure annunciate. E l’obiettivo di “proseguire sulla strada della riduzione del rapporto debito/pil” resta un punto fermo, “un obiettivo esplicito del governo”, rivendica Tria parlando con il Corriere della Sera.
Per quanto riguarda per esempio le modifiche della legge Fornero sulle pensioni con l’obiettivo di garantire l’uscita a quota 100, “credo che la nostra legislazione pensionistica possa essere migliorata, ma lo si farà con l’attenzione alla sostenibilità. Studieremo dei miglioramenti, sapendo che su queste materie non si improvvisa“. E gli altri impegni finanziari espliciti o impliciti nel contratto, dai “12 miliardi per cancellare l’aumento Iva ai 2 per i centri per l’impiego al varo della flat tax?”, chiede l’intervistatore. “Dove andrà il deficit 2019, entro il 2% del pil, entro il 3%?”. “Il governo si è appena insediato. Non sarebbe serio indicare numeri prima di un riesame complessivo”, si limita a rispondere Tria, fino alla settimana scorsa docente di economia politica all’Università di Tor Vergata di Roma. Secondo La Stampa, la Lega spinge per far salire il deficit fino al limite del 2,9% del pil, un decimale in meno del limite fissato dai trattari, mentre i 5 stelle “si mostrano più cauti e non sembrano volere strappi” con la Ue, cui Gentiloni aveva promesso l’anno prossimo un deficit/pil allo 0,8% anche se “Bruxelles sarebbe disponibile a concedere mezzo punto di disavanzo in più”.
La stessa cautela va applicata, spiega il nuovo inquilino di via XX Settembre, anche alla “pace fiscale” che secondo la Lega è il primo provvedimento da mettere in campo: “Dobbiamo fare i conti e simulare ciò che è possibile ottenere. Finché non si definisce la norma non si possono definire le coperture o il gettito“. Anche se nel frattempo il senatore del Carroccio Armando Siri ribadisce ancora una volta, sempre domenica, in un’intervista a Repubblica, che il provvedimento partirà “entro l’anno con un decreto legge” e sostiene che permetterà di recuperare “35 miliardi il primo anno e 25 il secondo”. Frenata anche sulla revisione delle riforme di Bcc e banche popolari, esplicitamente annunciata dal premier Giuseppe Conte (“recuperare la loro funzione che aiuta molto il tessuto produttivo”) in aula alla Camera nel giorno della fiducia: “Il governo si è appena insediato e il tema non è stato trattato. C’è sempre bisogno di rafforzare il settore bancario, ma passi avanti ci sono stati”, ricorda Tria. “Se ci sono elementi per rafforzare il sIstema si vedrà, ma non mi sembra il primo problema da affrontare”.
Tria tiene a precisare che “non dobbiamo discutere solo di singoli impegni di spesa (…) e ricerca di singole coperture, al netto del fatto che su ogni norma ci deve essere una copertura anche per obblighi costituzionali. E’ più importante il complesso della manovra: nell’ambito dell’obiettivo di riduzione del debito e di quello del deficit rifletterà le scelte di fondo su come e quando attuare il programma”. Quella che conta insomma è la “logica complessiva: l’obiettivo è la crescita e l’occupazione“, ma “non puntiamo al rilancio della crescita tramite deficit spending. Abbiamo un programma imperniato su riforme strutturali e vogliamo che agisca anche dal lato dell’offerta, creando condizioni più favorevoli all’investimento e all’occupazione”.
La vera, significativa novità rispetto all’impostazione di politica economica data dal predecessore Pier Carlo Padoan riguarda proprio gli investimenti, sacrificati dai precedenti governi in nome della necessità politica di recuperare risorse per bonus e interventi una tantum. “E’ centrale il rilancio degli investimenti pubblici, decisivi per rafforzare la competitività complessiva del Paese”, sottolinea Tria. “Non rilanciano solo la domanda, ma aiutano a far crescere il rendimento atteso del capitale privato, dunque portano anche più investimenti privati”. Quindi, è la domanda, “hanno senso anche grandi opere come la Tav o il Tap“, su cui come è noto la posizione del Movimento 5 Stelle è che occorre rivedere l’analisi costi-benefici? “Gli investimenti pubblici sono un volàno per la crescita di medio e lungo periodo”, risponde Tria senza citare le opere. “Questo è il significato di una forte azione su questo fronte. E per garantire il rilancio”, assicura, “in una prima fase non è determinante la disponibilità di risorse finanziarie aggiuntive”. Questo perché “ci sono varie risorse”, tra fondi nazionali ed europei, ma quel che più conta è “una decisa eliminazione degli ostacoli all’esecuzione – procedurali, normativi o dovuti al mancato rafforzamento della capacità tecnica delle amministrazioni”.
Tria ricorda poi che fin dagli anni Novanta chiede lo scomputo degli investimenti dal patto di Stabilità – richiesta che fu anche uno dei cavalli di battaglia di Mario Monti. Il debito aumenterebbe comunque, ma “un conto è un percorso di riduzione del debito con un bilancio squilibrato dal lato della spesa corrente, un altro è un debito che scende più lentamente perché aumenta la spesa per investimenti. Per la fiducia meglio il secondo”.