Poco prima dell’inizio della campagna militare per liberare Raqqa, il segretario Usa alla Difesa James Mattis promise una “guerra di annichilimento” contro lo Stato islamico.
Dal 6 giugno al 12 ottobre 2017 le operazioni militari della coalizione a guida Usa per liberare la cosiddetta “capitale” dello Stato islamico uccisero o ferirono migliaia di civili e distrussero buona parte della città. Abitazioni, edifici pubblici e privati e infrastrutture furono rasi al suolo o danneggiati in modo da non poter essere più riparati.
Gli abitanti finirono in trappola, nel fuoco incrociato in corso nelle strade di Raqqa tra i militanti dello Stato islamico e i combattenti delle Forze democratiche a guida curda sostenuti dagli incessanti attacchi aerei e di artiglieria della coalizione. Lo Stato islamico minò le strade d’uscita e sparò contro chi cercava la fuga. Centinaia di civili vennero uccisi nelle loro case, nei luoghi in cui avevano cercato rifugio o mentre tentavano di fuggire.
I quattro anni di dominio dello Stato islamico su Raqqa sono stati pieni di crimini di guerra. Ma le violazioni commesse dal gruppo armato jihadista, compreso l’uso degli scudi umani, non avrebbero mai dovuto sollevare la coalizione dall’obbligo di prendere tutte le precauzioni possibili per ridurre al minimo le perdite civili. Gli aerei statunitensi, britannici e francesi portarono a termine decine di migliaia di attacchi aerei: le forze Usa hanno ammesso di aver esploso 30mila colpi di artiglieria e di aver compiuto il 90 per cento dei bombardamenti aerei.
Secondo un alto ufficiale statunitense, a Raqqa fu esploso il maggior numero di colpi di artiglieria dalla fine della guerra del Vietnam. Poi c’è stato l’uso del fosforo bianco. Non ci si deve meravigliare che il risultato sia stato un massacro di civili.
Amnesty International è stata recentemente a Raqqa. Ha visitato 42 siti teatro dei bombardamenti della coalizione e intervistato 112 abitanti sopravvissuti alla carneficina in cui persero i loro cari.
Il rapporto che ne è derivato racconta in dettaglio le storie di quattro famiglie devastate dagli incessanti bombardamenti aerei. Complessivamente, tra vicini e parenti, le quattro famiglie hanno perso 90 persone (una sola famiglia ha avuto 39 vittime), in quasi tutti i casi per responsabilità della coalizione. Ciò che rende la tragedia persino peggiore è che a distanza di molti mesi non c’è stata alcuna indagine.
Le vittime menzionate nel rapporto di Amnesty International appartenevano a ogni strato socio-economico di Raqqa e avevano un’età compresa tra uno e 80 anni. Alcune erano state costrette a rimanere in città non potendo permettersi di pagare un trafficante. Altre, dopo aver lavorato per tutta la vita, temevano di avere troppo da perdere lasciandosi alle spalle le case e i negozi.
Nel settembre 2017, al culmine del conflitto, il comandante della coalizione generale Stephen Townsend, scrisse che “non c’è(ra) mai stata una campagna aerea più precisa nella storia dei conflitti armati”.
Munira Hashish, sopravvissuta ai bombardamenti, racconta una realtà diversa:
“Chi rimaneva moriva, chi cercava di fuggire moriva. Non avevamo i soldi per pagare i trafficanti, eravamo intrappolati a Raqqa”.
Alla fine, la donna e i suoi figli sono riusciti a salvarsi passando attraverso un campo minato “camminando sul sangue di coloro che erano saltati in aria prima”.
Le quattro famiglie di cui parla il rapporto hanno sofferto l’indicibile.
Gli Aswad erano una famiglia di commercianti che avevano lavorato duro per potersi costruire una casa. Alcuni di loro erano rimasti a Raqqa, rifugiati in una cantina, per proteggere i loro beni dai saccheggi. Ma il 28 giugno un bombardamento della coalizione distrusse l’edificio, uccidendo otto civili, quasi tutti bambini. Un altro parente morì saltando su una mina collocata dallo Stato islamico mentre stava cercando di rientrare in città per recuperare i corpi.
Nonostante ripetuti tentativi di fuga, gli Hashish hanno perso 18 parenti, soprattutto donne e bambini, nel corso di tre settimane dell’agosto 2017. Un attacco aereo ne uccise nove; sette morirono sulle mine dello Stato islamico e altri due a seguito di un colpo di mortaio esploso dalle Forze democratiche siriane.
La storia della famiglia Badran spiega meglio di tutte quanto fosse drammatica la situazione dei civili intrappolati a Raqqa. Nel corso di alcune settimane, 39 parenti restarono uccisi in quattro distinti attacchi aerei della Coalizione, mentre si spostavano da un luogo all’altro cercando disperatamente di stare lontano dalla mutevole linea del fronte. Queste le parole di Rasha Badran:
“Pensavamo che le forze che erano venute ad espellere Daesh – lo Stato islamico – avrebbero dovuto sapere cosa fare: prendere di mira Daesh e risparmiare i civili. Ci siamo resi conto di quanto fossimo stati ingenui. Quando capimmo quanto fosse pericoloso spostarsi da un posto all’altro, era troppo tardi. Eravamo già in trappola”.
Dopo diversi tentativi di fuga, lei e suo marito riuscirono finalmente nell’intento, lasciando alle spalle la loro intera famiglia, compreso il loro unico figlio Tulip, di un anno, che poi dovettero tornare a seppellire ai piedi di un albero.
Durante le ultime ore della battaglia, il 12 ottobre 2017 un raid della coalizione nel quartiere di Harat al-Badu, dove era noto che lo Stato islamico usasse civili come scudi umani, eliminò l’intera famiglia Fayad. La morte di Mohammed “Abu Saif” Fayad e di 15 tra vicini e parenti fu tanto più insensata dato che, solo poche ore dopo, un accordo tra le Forze democratiche siriane e la coalizione con lo Stato islamico consentì ai combattenti ancora in città di uscire liberamente da Raqqa.
Vi sono prove consistenti che tanti ulteriori bombardamenti e attacchi con l’artiglieria hanno ucciso e ferito altre migliaia di civili, anche a seguito di attacchi sproporzionati o indiscriminati in violazione del diritto internazionale umanitario e che dunque devono essere considerati potenziali crimini di guerra.
Amnesty International ha scritto a funzionari della Difesa di Usa, Regno Unito e Francia – gli stati che hanno compiuto attacchi aerei su Raqqa – sollecitando informazioni sugli attacchi riportati nel rapporto e su ulteriori attacchi del genere: metodi d’attacco, scelta degli obiettivi, precauzioni prese in vista degli attacchi, eventuali indagini svolte e altro ancora.