Coinvolti anche altri membri del cda del marchio tedesco, parte del gruppo Volkswagen. L’Agenzia federale dell’automobile Kba ha ordinato la scorsa settimana il richiamo di circa 60.000 Audi A6 e A7 dopo la scoperta di un "software illegale" in grado di distorcere i livelli di emissione di gas inquinanti
Un altro tassello si aggiunge nelle inchieste sul Dieselgate, lo scandalo dei dati falsati sulle emissioni dei veicoli diesel che ha coinvolto Volkswagen. Dopo le ultime perquisizioni in Germania negli uffici di Bmw, ora tocca a un altro marchio di Volkswagen: il numero uno di Audi, Rupert Stadler, è indagato insieme ad altri esponenti del consiglio di amministrazione della società dalla Procura di Monaco II.
Lunedì 11 giugno, fanno sapere gli inquirenti, sono state perquisite le abitazioni private e gli uffici personali di Stadler e di un altro membro del board. A entrambi sono contestati il reato di “frode” e di aver contribuito “all’emissione di certificati falsi“. Un portavoce del marchio ha riferito all’agenzia Afp che “Audi collabora con le autorità”. L’Agenzia federale dell’automobile Kba ha ordinato la scorsa settimana il richiamo di circa 60.000 Audi A6 e A7 dopo la scoperta di un “software illegale” in grado di distorcere i livelli di emissione di gas inquinanti. Nel corso dell’indagine i tribunali tedeschi avevano già fatto irruzione nelle case e nei luoghi di lavoro dei dipendenti Audi in Germania a febbraio, marzo e aprile, compresa la sede centrale di Audi a Ingoldstadt.
Diversi pubblici ministeri tedeschi hanno avviato indagini per frode, manipolazione del mercato azionario e pubblicità ingannevole nei confronti dei dipendenti di Volkswagen e dei suoi marchi Audi e Porsche, ma anche di Daimler e Bosch. Attualmente sono sotto inchiesta l’ex amministratore delegato di Volkswagen, Martin Winterkorn, e il suo successore Martin Muller, oltre che l’attuale capo del consiglio di sorveglianza del gruppo, Hans Dieter Poetsch, e l’attuale ceo di Volkswagen, Herbert Diess. Lo scandalo è scoppiato nel settembre del 2015, dopo che l’Agenzia ambientale degli Stati Uniti (Epa) ha accusato Volkswagen di aver equipaggiato 11 milioni di auto diesel, di cui circa 600.000 negli Stati Uniti, con un software in grado di truccare il risultato dei testi antinquinamento e di occultamento delle emissioni fino a 40 volte gli standard consentiti. Lo scandalo è già costato al gruppo tedesco più di 25 miliardi di dollari in richiami di veicoli e procedimenti giudiziari.
Intanto il presidente della Confindustria tedesca, Dieter Kempf, si è scagliato duramente contro il management dell’intero settore automobilistico tedesco. “Chi ha fatto errori deve chiamarli con il proprio nome, scusarsi, ripararli, assumersi la responsabilità e quindi recuperare fiducia”. Dopo l’esplosione del Dieselgate, infatti, ha spiegato Kempf, “non vi nascondo che mi sarei aspettato un altro comportamento” dai produttori di auto.
Ma le indagini sulle presunte emissioni truccate non sono confinate solo all’Europa. Nel febbraio scorso il quotidiano tedesco Bild am Sonntag ha reso noto che gli investigatori americani avrebbero scoperto l’utilizzo da parte di Mercedes di un software potenzialmente illegale analogo a quello utilizzato da Volkswagen per superare i test di omologazione dei suoi motori diesel. È di poche settimane fa, invece, la protesta dei sindaci di Parigi, Bruxelles e Madrid contro la Commissione europea: l’accusa è di aver “legalizzato” il dieselgate permettendo ai costruttori di auto di sforare i limiti di emissione Euro 6 con le deroghe introdotte nel 2017.