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Ferrovie dello Stato, l’ad Mazzoncini rinviato a giudizio per truffa nell’inchiesta su Umbria mobilità

All'epoca il manager guidava Busitalia sita nord. Secondo l'accusa lui e le altre tre persone che andranno a processo hanno falsato i dati sui ricavi da traffico della società per ottenere la concessione di contributi dalla Regione Umbria. Le Fs: "Estraneo ai fatti". Lo statuto del gruppo partecipato dal Tesoro prevede che il cda decida sulla decadenza. Se intende confermarlo deve convocare l'assemblea
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Il gup di Perugia ha rinviato a giudizio per truffa il numero uno delle Ferrovie dello Stato Renato Mazzoncini e altre tre persone imputati accusate a vario titolo di irregolarità nell’aggiornamento della banca dati dell’Osservatorio trasporto pubblico locale del Ministero dei trasporti. Secondo il pm Manuela Comodi hanno falsato i dati sui ricavi da traffico di Umbria mobilità per la concessione di contributi per poco meno di sei milioni di euro dalla Regione Umbria. All’epoca Mazzoncini guidava Busitalia sita nord.

Il giudice ha disposto il processo anche per l’ad dell’epoca di Umbria mobilità esercizio, Francesco Viola, del presidente della società e direttore regionale programmazione, innovazione e competitività della Regione, Lucio Caporizzi, e di una dipendente addetta all’ufficio amministrazione della società di trasporto. Tutti hanno sempre rivendicato la correttezza del loro comportamento. Il gup ha fissato l’inizio del processo per il 20 gennaio del 2020.

Le Fs hanno diffuso una nota in cui si legge: “Non può che essere confermata l’assoluta estraneità ai fatti di causa dell’amministratore delegato di Fs Italiane, che non ha mai amministrato Umbria Mobilità. Si confida, trattando di questione interpretativa di disposizioni di natura amministrativa che il dibattimento possa, al più presto, chiarire la realtà dei fatti”.

Lo statuto del gruppo, partecipato dal Tesoro, prevede che se un amministratore in carica viene rinviato a giudizio deve “darne immediata comunicazione all’organo di amministrazione”, cioè il cda, “con obbligo di riservatezza. Il consiglio dì amministrazione verifica, nella prima riunione utile e comunque entro i dieci giorni successivi alla conoscenza dell’emissione dei provvedimenti di cui al terzo periodo, l’esistenza di una delle ipotesi ivi indicate. Nel caso in cui la verifica sia positiva, l’amministratore decade dalla carica per giusta causa, senza diritto al risarcimento danni, salvo che il consiglio di amministrazione, entro il termine di dieci giorni di cui sopra, proceda alla convocazione dell’assemblea, da tenersi entro i successivi sessanta giorni, al fine di sottoporre a quest’ultima la proposta di permanenza in carica dell’amministratore medesimo, motivando tale proposta sulla base di un preminente interesse della società alla permanenza della stessa. (…) Nel caso in cui l’assemblea non approvi la proposta formulata dal consiglio di amministrazione, l’amministratore decade con effetto immediato dalla carica per giusta causa. senza diritto al risarcimento danni”.

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