Scienza

Parkinson, “così la vitamina B3 riesce a fermare la morte dei neuroni”

Lo suggerisce uno studio su cellule di pazienti e su animali condotto da Michela Deleidi dell’Università tedesca di Tübingen che ha riferito di essere in procinto di iniziare i test su pazienti . La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Cell Reports

La ricerca scientifica sul morbo di Parkinson prosegue senza sosta e sembra aver messo a segno un punto a favore dei pazienti. La vitamina B3 (nicotinamide riboside) potrebbe fermare la morte dei neuroni nei pazienti con morbo di Parkinson, aiutando potenzialmente a rallentare il decorso della malattia. Lo suggerisce uno studio su cellule di pazienti e su animali condotto da Michela Deleidi dell’Università tedesca di Tübingen che ha riferito di essere in procinto di iniziare i test su pazienti (la vitamina è già dimostrata sicura sui soggetti sani, quindi è prevedibile un iter sperimentale un po’ più veloce). La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Cell Reports. Il Parkinson è una malattia degenerativa caratterizzata da morte progressiva dei ‘neuroni dopaminergici’, che controllano i movimenti. Vi è il sospetto che le cellule muoiano per difetti di approvvigionamento energetico.

Nella prima parte dello studio Deleidi ha usato cellule di pelle di pazienti con Parkinson e le ha trasformate in neuroni, dimostrando che nei pazienti le cellule, ed i neuroni in particolare, hanno difetti a carico delle ‘centraline elettriche’ – i mitocondri – organelli cellulari che servono a fornire energia alle cellule stesse. Poi la scienziata ha ‘alimentat0’ tali cellule con vitamina B3 dimostrando che la vitamina riesce a prevenirne la morte, favorendo lo sviluppo di nuovi mitocondri sani al loro interno. Da ultimo Deleidi ha continuato gli esperimenti con moscerini con una specie di Parkinson e visto che dando loro nicotinamide riboside, la malattia progredisce più lentamente e gli insetti riescono a mantenere il controllo dei movimenti. Il prossimo passo è testare, quindi, la vitamina sui pazienti con Parkinson, conclude l’esperta.

Lo studio su Cell Reports