Faccia a faccia di 40 minuti tra propaganda e diplomazia. I due leader firmano un documento in cui dicono di "lavorare per la completa denuclearizzazione della penisola coreana" facendo sforzi congiunti per "costruire una pace duratura e stabile". Ma entrambi sono alla ricerca di qualcosa che ha poco a che fare con questi obiettivi. Ciò che al presidente Usa interessa, ad esempio, è rilanciare la sua immagine di statista e leader, in vista soprattutto delle elezioni di midterm a novembre
Donald Trump e Kim Jong-un hanno firmato un documento comune sul processo di de-nuclearizzazione della Corea del Nord, impegnandosi a “lavorare verso la completa denuclearizzazione della penisola coreana” facendo sforzi congiunti per “costruire una pace duratura e stabile”. E nell’intesa si menziona l’avvio di “nuove” relazioni” tra i due Paesi. ed è probabile che gli Stati Uniti concedano alla Corea del Nord assicurazioni sulla sua sicurezza, in cambio di promesse sulla de-nuclearizzazione. Kim ha spiegato che “abbiamo avuto un incontro storico, abbiamo deciso di lasciarci il passato alle spalle. Il mondo assisterà a un cambiamento decisivo. Vorrei esprimere la mia gratitudine al presidente Trump, per avere reso possibile tutto questo”. A una precisa domanda, Trump ha detto di essere pronto a invitare Kim alla Casa Bianca. Il meeting all’Hotel Cappella di Singapore era iniziato un paio di ore prima, con una stretta di mano tra i due leader durata più di 10 secondi e la frase di Trump sull’inizio di una “magnifica relazione”. Si è trattato di un’immagine che sino a qualche mese fa sarebbe stata impensabile, attesa da 70 anni.
I due, noti per prese di posizione spesso spericolate e impulsive, e per anni di scontri e insulti, hanno deciso di tentare la strada della diplomazia personale per superare decenni di scontri e il rischio di una guerra nucleare. Dopo il gesto di saluto a beneficio dei fotografi e di circa 2500 giornalisti, Trump e Kim si sono ritirati in una stanza dell’hotel. Solo loro, con i rispettivi interpreti. Ne sono riemersi circa quaranta minuti dopo, per un meeting allargato con le rispettive delegazioni.
“Mi sento in gran forma – ha detto Trump poco prima che l’incontro iniziasse -. Ci sarà una gran discussione e penso che alla fine sarà un successo fantastico. Penso davvero che sarà un successo e che inizierà una magnifica relazione. Non ho dubbi”. Più contenuto invece, prima del meeting, il presidente nord-coreano, che ha spiegato: “Non è stato facile arrivare sin qui il passato ha lavorato come catene ai nostri arti, e i vecchi pregiudizi e le vecchie pratiche hanno funzionato come degli ostacoli per andare avanti. Abbiamo superato tutto questo e siamo qui, oggi”. Poco più tardi, in una pausa per relazionare i rispettivi top advisors, Trump ha aggiunto: “Lavorando insieme, ci prenderemo cura dell’impasse nucleare”.
Quanto l’ottimismo sbandierato sia reale, o invece il frutto dell’ennesima trovata propagandistica di due leader abituati a sorprendere e spesso a scandalizzare, è appunto la vera questione. Di solito incontri di questo tipo – nel caso in questione, la completa de-nuclearizzazione della Corea del Nord – arrivano dopo mesi di discussione a livello di advisors e diplomatici. Non è andata così tra Stati Uniti e Corea del Nord. Poco prima del meeting di Singapore, i negoziatori dei due Paesi stavano ancora discutendo su alcuni dei dettagli più elementari; per esempio, tempi e modi in cui Pyongyang rinuncerebbe al suo arsenale nucleare. In altre parole, la normalità diplomatica vuole che prima si formalizza l’accordo, poi si arriva all’incontro finale tra i leader. Che questa volta si sia fatto il contrario, prova il carattere spiazzante e per molti versi personalistico della leadership dei due presidenti – “mi fido del mio tocco, delle mie impressioni, nel giro di pochi minuti capirò se Kim è sincero”, ha spiegato Trump – ma racconta anche del valore di propaganda che il meeting ha finito per avere per entrambe le parti.
Sia Trump sia Kim sono infatti alla ricerca di qualcosa – che ha poco a che fare con la de-nuclearizzazione della penisola coreana. Per Kim, il beneficio è molto chiaro: una legittimazione internazionale sino a qualche mese fa impensabile; la sua trasformazione in interlocutore affidabile e in un punto di riferimento per l’intera regione. Quanto a Trump, il presidente Usa ha bisogno dell’ennesimo “grande show”. Non è interessato alle minuzie, ai dettagli di un accordo. L’incontro di Singapore gli serve per rafforzare la sua leadership solitaria nel mondo, il suo ruolo di difensore della potenza statunitense contro tutto e tutti (l’abbandono del tavolo del G7, e le successive polemiche con Justin Trudeau e gli antichi alleati mostrano proprio questa volontà). Miliardario abituato a farsi pubblicità, sempre e comunque, Trump vuole ottenere dall’incontro di Singapore altra pubblicità. Per lui, incontrare Kim è come inaugurare un nuovo casinò o un campo di golf. Poco importa come andrà, nel futuro; quanto questo accordo riuscirà a sostenere la prova dei fatti. Per il momento, per Trump e i suoi, è importante portare a casa l’accordo. Tutto il resto, verrà, se verrà. E se non verrà, se i punti dell’accordo siglato a Singapore non verranno rispettati e messi in pratica, poco importa. Ciò che a Trump interessa è, appunto, rilanciare la sua immagine di statista e leader, in vista soprattutto delle elezioni di midterm, a novembre.
Per questo, l’obiettivo delle parti dovrebbe essere, al momento, quello di trovare un’intesa su un documento comune, che serva però essenzialmente come road map per futuri negoziati. La storia delle relazioni tra Stati Uniti e Corea del Nord mostra che spesso le promesse, e gli accordi, non sono stati rispettati. Vedremo se, in questo caso, sarà diverso e se l’incontro di Singapore diventerà qualcosa di più che una strategia propagandistica per due leader in cerca di visibilità internazionale.
Aggiornato da Redazione web alle 9.57 del 12 giugno 2018