In Libia ci sono circa 700mila migranti, secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). Un dato costante ormai da qualche anno (all’epoca di Gheddafi erano 1,2 milioni) e che vede, in maggioranza, la presenza di lavoratori transfrontalieri egiziani e nigerini, che attraversano i confini della Libia ogni giorno. “Non si può dire quanti siano pronti a partire: molti non vogliono farlo, molti si ritrovano costretti all’ultimo minuto. La situazione è molto fluida”, spiega Flavio Di Giacomo, portavoce Oim. “Tendiamo sempre a vedere la Libia come un Paese di transito, in realtà è soprattutto un Paese di destinazione”, aggiunge. Il numero di sbarcati in Italia si è poi mediamente attestato tra i 120 e i 180 mila, quindi è improbabile che i partenti possano essere molti più di questi.

Difficile stabilire con chiarezza se ci sarà, quest’estate, una nuova ondata di partenze. I numeri certi sono che l’ultimo weekend i soccorsi in mare sono stati 1.424, di cui 629 si trovano ora su nave Aquarius, mentre altri 795 sono a bordo di Nave Diciotti della Guardia costiera, in attesa di sapere dove sbarcare. “Ricordo che l’anno scorso, a giugno, nel giro di 36 ore sono sbarcate in Italia 13mila persone”, sottolinea il ricercatore di Ispi Matteo Villa. I numeri possono impennarsi improvvisamente, soprattutto in momenti di relativa calma: complessivamente, il dato è sceso dell’80% rispetto allo scorso anno. “È ancora presto per stabilire se c’è un trend per quest’anno: l’estate deve ancora iniziare”, puntualizza Villa. Infatti secondo l’Oim, l’Italia continua comunque ad essere il primo Paese di destinazione dei migranti (3.693 arrivi a maggio), seppur Grecia e Spagna siano molto più vicine in termini di numeri rispetto al passato.

La situazione dei centri di detenzione
In Libia, al momento, ci sono in tutto 34 centri di detenzione controllati dal Ministero dell’Interno di Tripoli (governo Sarraj), di cui circa una ventina quelli visitabili dalle agenzie Onu Oim e Unhcr. “Negli altri non abbiamo avuto l’autorizzazione per entrare”, specifica Di Giacomo. Il dato complessivo di presenze nei centri che risulta all’Oim è molto basso: tra le 5 e le 7 mila persone. Ancora una volta una costante: l’unica eccezione c’è stata lo scorso anno con la battaglia di Sabrata, una delle città in quel momento più calde in termini di partenze. I centri sono arrivati al picco storico di 18-20 mila presenze. L’Oim da allora ha accelerato le pratiche di rimpatrio volontario, che nel 2017 sono state in tutto 19mila e che nei primi sei mesi del 2018 sono a quota 7mila. Probabile, però, che con i centri non ufficiali, non controllati dal governo, ce ne possano essere il doppio, arrivando in totale ad almeno 15mila persone. Ma, appunto, è solo una stima. Spesso, per uscire da queste prigioni, i migranti sono costretti a pagare le milizie che controllano i centri.

Come sono cambiate le partenze
In questi ultimi mesi la geografia delle partenze è leggermente cambiata. Se prima la parte ovest più vicina al confine con la Tunisia era il bacino maggiore, oggi i barconi partono anche dalla zona a est di Tripoli. Sono ripresi gli sbarchi da città come Al Khoms e Garabulli, mentre a Zuwara e Zawiya si parte molto meno. Da Sabrata, praticamente, non si parte più (almeno al momento).

Queste città della costa occidentale sono quelle in cui l’Italia ha avuto, da anni, una presenza più forte. Da qui è stato anche messo in piedi il Memorandum of Understanding Italia-Libia voluto dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti e che fonti diplomatiche confermano essere ancora attivo, tanto che sono ancora in corso missioni di addestramento della Guardia costiera libica sia a livello bilaterale sia a livello europeo. Anche l’ambasciatore italiano a Tripoli Giuseppe Perrone, il 10 giugno, ha incontrato il presidente Fayez Al Sarraj per discutere di nuove strategie per la gestione dei flussi migratori.

Nella capitale e nelle zone a est di Tripoli, però, l’Italia ha un’influenza minore. “A Tripoli la presenza più forte è quella francese, insieme a sauditi e emiratini”, spiega Jalel Harchaoui, ricercatore di Geopolitica dell’Università di Parigi VIII. La situazione è, come al solito, molto frammentata: in questi ultimi mesi le milizie che hanno acquisito maggior potere nell’area intorno a Tripoli sono le Rada, unità speciali che dovrebbero rispondere al Ministero dell’Interno delle capitale, ma che in realtà agiscono sempre più come cani sciolti. Vicine a posizioni salafite, sono contrapposte alle milizie guidate da Hitham al-Tajouri, pienamente laiche e secolarizzate. In mezzo, come terzo incomodo, Hashem Bishar, leader di una formazione più moderata. “Per controllare Tripoli bisogna fare accordi con questi tre gruppi”, spiega Harchaoui. La rottura degli equilibri tra milizie può tradursi in nuovi scontri e nuove partenze verso l’Italia.

L’area intorno a Tripoli è poi fortemente influenzata dalla presenza dei miliziani di Misurata, uno dei gruppi più forti dai tempi della rivoluzione e storicamente vicini agli islamisti. Fin dal 2012-14, gli anni in cui in Libia sono nate le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di migranti, queste milizie islamiste hanno sostenuto i trafficanti. L’esempio più clamoroso è rappresentato dalla famiglia Dabbashi di Sabrata, uscita sconfitta dalla battaglia per il controllo della città con il gruppo anti-Isis Operation Room dello scorso settembre. La famiglia Dabbashi ha una lunga militanza in formazioni filo-islamiste (se non proprio radicali) e nelle istituzioni sia cittadine sia nazionali.

A conferma di un ponte tra filo-islamisti che dalla Libia occidentale arriva fino a est di Tripoli, due dei fratelli del famoso Ahmad “Al Ammu” Dabbashi, considerato dalle Nazioni Unite un trafficante di uomini e per questo sotto sanzioni, ad aprile sono stati arrestati all’aeroporto di Misurata mentre cercavano di andare in Turchia. Dopo il loro arresto, in città ci sono state delle manifestazioni a loro sostegno.

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