Durante un corteo antifascista a Torino aveva urlato alle forze dell’ordine “Dovete morire, mi fate schifo”. Una frase che le era costato un provvedimento disciplinare di sospensione dal lavoro. E che ora si è concretizzato con il licenziamento: l’Ufficio scolastico regionale del Piemonte ha deciso che l’insegnante Lavinia Flavia Cassaro non potrà più insegnare.

La frase incriminata è stata ripresa in video dalle telecamere durante una manifestazione di protesta avvenuta nel capoluogo piemontese il 22 febbraio scorso contro un comizio di CasaPound. Sul caso, oltre all’ex ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli, era intervenuto anche l’allora segretario del Pd Matteo Renzi: “Che schifo! Un insegnante che augura la morte di un poliziotto o un carabiniere andrebbe licenziata”, aveva dichiarato l’ex premier.

Della stessa idea sono stati i funzionari dell’Ufficio scolastico regionale, che nei giorni scorsi hanno notificato alla docente il provvedimento di licenziamento. A rendere nota la notizia è il Coordinatore nazionale Cub Scuola, Cosimo Scarinzi, annunciando che il sindacato le “garantirà piena difesa, sia in sede legale che mediante l’azione sindacale”. La docente, infatti, è attualmente indagata dalla procura di Torino per istigazione a delinquere, oltraggio a pubblico ufficiale e minacce.

“Pare evidente che se Lavinia non fosse stata intercettata da giornalisti affamati di notizie e se, subito dopo, il premier della ‘Buona scuola’ non avesse ceduto alla tentazione di individuare una ‘cattiva maestra’, il caso Cassaro non ci sarebbe mai stato”, sottolinea Scarinzi, che si dice pronto a “dimostrare l’inconsistenza della contestazione di addebito mossa alla maestra”. Un caso di “democrazia autoritaria“, secondo Scarinzi, che definisce il licenziamento “una sanzione sproporzionata“.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Ancona, sieropositivo da 11 anni ma aveva rapporti non protetti: arrestato. Ai poliziotti: “Questa malattia non esiste”

next
Articolo Successivo

Firenze, giustizia per Duccio Dini. Ma non si può incolpare l’intera comunità rom

next