Quale che sia il risultato finale, quella del 14 giugno è stata una giornata storica per l’Argentina: la Camera dei Deputati ha approvato il progetto di legge che depenalizza l‘aborto e lo consente in forma “sicura, legale e gratuita” fino alla quattordicesima settimana di gestazione, per ogni donna che lo richieda, e dopo questo termine solo se la gravidanza è frutto di violenza sessuale, se la madre è in pericolo di vita o ci sono malformazioni del feto incompatibili con la vita. Il sì, che sembrava sempre più a rischio nelle ultime ore, è arrivato alle 9.51 del mattino (le 14.51 italiane) dopo una maratona di voto di oltre 23 ore, a tratti drammatica e con vari colpi di scena, con 129 sì, 125 no e un’astensione. Adesso il testo passa al Senato.
Non è la prima volta che in Argentina si cerca di rendere più permissiva la legge sull’interruzione di gravidanza. Il primo tentativo c’è stato nel 2005 e dopo di allora ne sono seguiti, senza successo, altri sei. Nel frattempo, secondo le cifre del ministero della Salute argentino, sono morte 3.000 donne a causa degli aborti clandestini. A fare la differenza questa volta ha contribuito la grande mobilitazione popolare che ha accompagnato fin dall’inizio il dibattito parlamentare, con tanto di marce per la strada e occupazioni delle scuole, e il fatto che il presidente Mauricio Macri, pur non essendo a favore, abbia scelto di non esprimersi, annunciando fin dall’inizio che avrebbe accettato il risultato della decisione parlamentare, senza usare il diritto di veto che la legge gli riconosce. Lui stesso ha posto l’accento, poche ore dopo il voto, sul “dibattito storico, proprio di una democrazia”, che ha permesso di “dirimere con rispetto e tolleranza le differenze”, nella coscienza che “il cammino del dialogo è quello che può rendere forte il nostro futuro”.
Tuttavia la vittoria, come mostrano anche le cifre, è avvenuta sul filo di lana e non è stata per niente scontata. Il dibattito, lungo ed estenuante con più di 100 che hanno preso la parola, è stato seguito in tempo reale da migliaia di manifestanti – da un lato l’Onda verde (Ola verde) a favore, e dall’altro gli Azzurri, contrari – assiepata fuori dal Parlamento, nonostante il freddo dell’inverno australe ormai incipiente. All’inizio sembrava sicuro il sì, ma piano piano aumentavano le intenzioni di voto contrarie, tanto da arrivare ad un certo momento a 128 contrari e 126 a favore. Nelle prime ore del mattino la svolta ormai insperata, con alcuni deputati peronisti della Pampa e della Terra del fuoco, che inizialmente a favore del no hanno poi cambiato idea, fino al voto finale, con un piccolo incidente sul finale. Inizialmente infatti i sì contabilizzati erano stati 131 e 123 i no, ma poi due deputati hanno protestato perché il loro voto negativo era stato contato come positivo, facendo correggere il risultato finale della votazione in 129 sì, 125 no, e una astensione.
Adesso la palla passa al Senato, che dovrà aspettare una settimana prima di iniziare la discussione. Teoricamente i senatori possono bocciare il progetto di legge o modificare il testo e rimandarlo alla Camera, e il dibattito protrarsi per le lunghe. Ma i capigruppo al Senato dei due partiti di maggioranza, Miguel Angel Pichetto del Partito giustizialista, e Luis Naidenoff di Cambiemos, hanno dichiarato che ci sono i numeri per far passare la legge, secondo loro addirittura a luglio, mentre altri pronosticano a settembre. La Conferenza episcopale argentina, che si è detta addolorata per il voto, spera invece che al Senato si possano elaborare progetti di legge “alternativi”, nell’ambito di un dialogo “sereno e riflessivo”. Quale che sarà il risultato finale, indubbiamente si tratta di una pagina importante non solo per l’Argentina, ma anche per l’intero continente latinoamericano, dove l’aborto, consentito solo con pochissime eccezioni, è solo uno dei diritti su cui le donne hanno intrapreso una battaglia, per una maggiore parità di genere, in paesi dove il maschilismo è ben radicato.