Bocche cucite alla Procura generale di Roma dove è aperta una indagine sul caso Moro, in particolare sull’agguato di via Fani e sulla passeggiata mattutina del colonnello Camillo Guglielmi, ufficiale dei carabinieri e addestratore di Gladio, che si trovò in quel luogo preciso proprio mentre il commando brigatista scatenava l’inferno contro l’auto del presidente Dc e la sua scorta. Una parte dell’inchiesta riguarda traffici di armi e l’ombra di Stay Behind. Ilfattoquotidiano.it ha raccolto una indiscrezione sulla testimonianza di Francesco Pazienza, ex agente segreto e faccendiere di grosso calibro, condannato per i depistaggi sulla strage di Bologna e per il crack del Banco Ambrosiano, ascoltato come persona informata dei fatti. Pazienza è recentemente salito alla ribalta delle cronache del processo bolognese per la strage del 2 agosto 1980 con un attacco frontale contro il generale Mario Mori.
Una testimonianza, quella del faccendiere, che va oltre il caso Moro e che svela l’esistenza di un accordo, già battezzato Lodo Pazienza, che proseguì agli anni anni ‘80. La strategia di Aldo Moro nell’area del Mediterraneo e del suo Lodo, cioè l’accordo in base al quale l’Italia garantiva l’incolumità dei guerriglieri palestinesi in cambio dell’impegno a non usare mai il nostro territorio per azioni armate. Uno scambio con il quale il presidente Dc, che voleva ad ogni costo uno Stato palestinese indipendente, tendeva a ritagliare per l’Italia un posto di primo piano nell’area del Mare nostrum.
Tornando a Pazienza, è noto che alla fine degli anni ‘70 e nel decennio successivo è stato protagonista indiretto (nel senso che non apparteneva a nessuna istituzione dello Stato ma agiva come se fosse lo Stato) dell’intelligence italiana, consulente del piduista capo del Sismi Giuseppe Santovito, e portatore dei suoi legami con personalità di spicco del mondo arabo e con quello dell’Oltretevere, oltre che di uomini dell’amministrazione americana. Aveva buoni contatti anche con il colonnello Stefano Giovannone, dominus dei nostri Servizi in Medioriente: una solida base di relazioni che gli permise di intavolare nuove trattative tra il gennaio e il marzo del 1981 con la direzione dell’Olp – come ha raccontato ai magistrati delegati della Procura generale di Roma – ottenendo la prosecuzione dei vecchi patti ma con una variante: voi lasciate fuori il nostro territorio dagli attacchi armati e noi vi apriamo le porte del Vaticano.
Al tavolo ci sono Pazienza per conto dei Servizi italiani, Ibrahim Ayad, sacerdote del Patriarcato latino di Gerusalemme che fu tra i vecchi consiglieri del presidente palestinese Yasser Arafat, ed emissari del cardinale Achille Silvestrini. Il dialogo va avanti qualche mese, con la soddisfazione di tutte le parti in causa, e portò alla prima visita di Arafat in Vaticano risale al 15 settembre 1982. Tanto bastò a far esplodere l’ira di Israele contro la Chiesa cattolica: Menahem Begin, allora primo ministro, accusò il Papa di aver stretto “una mano sporca dio sangue di bambini ebrei innocenti”. Esponenti della Procura generale, interpellati, si trincerano dietro un no comment : “Stiamo lavorando“, dicono.