Per quel padre e quella madre è arrivata una condanna a tre anni e quattro mesi e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, oltre al pagamento delle spese processuali. La corte d’Assise di Forli, presieduta da Giovanni Trerè, ha chiuso così il processo nei confronti dei coniugi per la morte di Rosita Raffoni avvenuta il 17 giugno 2014
Aveva accusato i suoi genitori di averle tolto la voglia di vivere e subito dopo si era lanciata dal tetto del liceo classico che frequentava a Forlì. Oggi per quel padre e quella madre è arrivata una condanna a tre anni e quattro mesi per il reato di maltrattamenti e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, oltre al pagamento delle spese processuali. La corte d’Assise di Forli, presieduta da Giovanni Trerè, ha chiuso così il processo nei confronti dei coniugi per la morte di Rosita Raffoni avvenuta il 17 giugno 2014. Quel giorno la ragazza, definitva come una studentessa modello, lasciò in un messaggio video sul suo telefonino e in una lettera pesanti accuse sul comportamento dei genitori tali dallo spingerla a farla finita. Quando la procura chiuse l’inchiesta il pm contestò ai due indagati le “umiliazioni” e gli “insulti” nei confronti della ragazzina che fu sfidata a farla finita.
Il padre della ragazzina è stato invece assolto, “perché il fatto non costituisce reato”, dall’ipotesi di istigazione al suicidio. Alla lettura della sentenza, arrivata dopo circa sette ore e mezza di camera di consiglio, non erano presenti i due i coniugi diversamente da quanto accaduto durante le precedenti sedici udienze del procedimento. Rispetto alle richieste avanzate dalla difesa rappresentata dall’avvocato Marco Martines – che aveva chiesto l’assoluzione per i suoi assistiti – e della pubblica accusa, rappresentata dalla Pm, Sara Posa – che aveva chiesto sei anni di carcere per Roberto Raffoni per istigazione al suicidio e maltrattamenti e due anni e sei mesi per Rosita Cenni per maltrattamenti – la Corte d’Assise con la sua sentenza ha parzialmente accolto la richiesta per l’uomo mentre per la moglie il verdetto è stato più severo di quanto chiesto dal pm. Secondo l’accusa, nella fase di chiusura delle indagini, i comportamenti di disinteresse e dissociazione affettiva e familiare erano proseguiti anche dopo la morte della figlia: la ragazza sarebbe stata “lasciata nuda e senza vestiti in cella frigorifera per giorni, impedendo ad amici e parenti di visitarla nella camera mortuaria”. Un disinteresse che a parere dei pm sarebbe poi sfociato nella scelta di non dare alla ragazza “gli onori di un funerale, disponendo che la salma venisse cremata senza alcuna visita e senza alcun sentimento di pietà”.
Un estratto del video girato col telefonino – un grido di dolore e atto d’accusa al tempo stesso – era stato fatto sentire in aula a porte chiuse.
Dalla voce della 16enne, i giudici avevano potuto ascoltare le accuse rivolte ai genitori cui la ragazza diceva di averla odiata aggiungendo che, proprio per questo, il suo suicidio a loro non sarebbe loro dispiaciuto tanto. Nella registrazione Rosita aveva sottolineato che i genitori non l’avevano mai capita, conosciuta, né accettata per quello che era. La ragazza, ancora, aveva anche manifestato il dispiacere di lasciare la vita, spiegando che avrebbe voluto fare tante cose, andare all’estero, avere un ragazzo, rendere felice qualcuno.
Parole risuonate in un aula di Tribunale che, oggi, ha emesso la sua sentenza.
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