Allo scadere dei termini di presentazione per le osservazioni al progetto dello Stadio della Roma (12 giugno) e a meno di 24 ore dell’annuncio della sindaca Virginia Raggi, che twittava «Lo stadio a Tor di Valle è sempre più vicino, non perdiamo tempo”, è arrivata la notizia dei sedici indagati e dei nove arresti, tra politici e imprenditori (tra i quali Luca Parnasi e il presidente di Acea e consulente del M5s Luca Lanzalone) coinvolti nell’inchiesta per tangenti e procedure amministrative illecite nella realizzazione dello stadio a Tor di Valle.
Lo stadio a Tor di Valle è sempre più vicino. Stiamo lavorando senza sosta per accorciare i tempi e realizzare questa grande opera che porterà nuovi posti di lavoro e migliorerà la vita nel quadrante sud della città: https://t.co/8h5hszyHF7 #unostadiofattobene pic.twitter.com/hv0ZdFP565
— Virginia Raggi (@virginiaraggi) 12 giugno 2018
Se le ipotesi di reato saranno confermate dalla Procura della Repubblica di Roma, l’epilogo della vicenda rievocherà le configurazioni della vecchia politica, con inevitabili conseguenze destabilizzanti non solo per la giunta Raggi ma anche per il M5s che si è assegnato il ruolo di baluardo, di solerte e vigile garante della legalità a tutela del cittadino: come potrà spiegare agli elettori che se la sono fatta fare sotto il naso?
Per lo Stadio, le forzature (accettate di buon grado dalla giunta Raggi) sono state molte, a partire dal fatto che sia stato un immobiliarista – Luca Parnasi – in accordo con il dirigente sportivo James Pallotta, co-proprietario dell’AS-Roma, a stabilire dove fosse più conveniente costruire un’opera di interesse pubblico come uno stadio; non il Comune – Piano Regolatore alla mano – come accade invece nei paesi civilizzati. Ulteriore anomalia, il Comune regala cubatura a un privato in cambio di infrastrutture; e per far spazio al nuovo stadio della Roma, discutibile progetto dell’architetto statunitense Dan Meis, si deve demolire un’opera sottoposta a vincolo comunale e inserita nella Carta delle Qualità del nuovo piano regolatore di Roma nel 2008, come l’ippodromo di Tor di Valle, progettato nel 1957 da Julio Lafuente. Come se non bastasse, dopo che il sovrintendente Prosperetti ha archiviato il Vincolo, la Sovrintendenza e il Comune hanno affidato allo studio romano A.B.D.R. l’incarico di ricostruirne un “simulacro”, una copia parziale sulla base del progetto di Lafuente; un’iniziativa culturalmente improponibile e inaccettabile.
Ma il “nuovo”, la Giunta Raggi per l’appunto, non ha trovato nulla da eccepire neppure davanti al fatto che nel nome di un “progetto tutto privato”, i romani non fossero coinvolti in una consultazione partecipativa, smentendo in questo modo il fondatore del Movimento 5 stelle, Beppe Grillo, che il 20 febbraio del 2017 aveva annunciato che “per lo stadio sentiremo i romani prima di decidere, faremo un’architettura condivisa, come non si è mai fatto prima“.
Aveva forse ragione l’ex assessore all’Urbanistica, Paolo Berdini, che nel febbraio del 2017 si dimise proprio dopo l’ennesimo scontro sullo Stadio? Nel suo libro-denuncia Polvere di Stelle Berdini definisce l’avvocato Lanzalone come il sesto sindaco supplente (ovvero il terzo sindaco vicario estraneo al Movimento) che “ha legami con il mondo finanziario globalizzato, insofferente a ogni tentativo di regolare il governo urbano. In pochi mesi, il M5s ribalta le posizioni con cui si era presentato alle elezioni: gli impegni presi con gli elettori sono stati stracciati utilizzando un grande esperto di banche. A conti fatti – continua Berdini – in breve tempo c’è stata la restaurazione degli eterni poteri romani e di quelli globalizzati”.
A quanto pare, tutto era già stato scritto.