Imputati anche il direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via e Maria Cannata, che per oltre 17 anni – fino allo scorso febbraio – ha gestito il debito pubblico italiano. Per l'accusa erano colpevoli di un danno erariale da 3,9 miliardi di euro. A contestare la giurisdizione della corte l'avvocato della banca d'affari - che è l'ex sottosegretario Catricalà - e i legali della dirigente del ministero
Ha dichiarato il proprio “difetto di giurisdizione” sul caso. È questa la sentenza emessa dalla Corte dei Conti sulla vicenda derivati, nel processo che vedeva sul banco degli imputati Morgan Stanley, gli ex ministri all’Economia Domenico Siniscalco (dal 2006 nel board di Morgan Stanley international) e Vittorio Grilli, il direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via e Maria Cannata, che per oltre 17 anni – fino allo scorso febbraio – ha gestito il debito pubblico italiano. Erano imputati per un danno erariale da 3,9 miliardi di euro.
L’atto d’accusa – Il processo si era aperto il 19 aprile scorso con la requisitoria del procuratore della Corte dei Conti, Massimiliano Minerva, che ha contestato la “negligenza” e “l’imperizia” del Ministero dell’Economia nell’inserimento nel contratto con la banca di una specifica clausola di uscita anticipata dai derivati, l’Ate, e del pagamento a Morgan Stanley, che ne rivendicava l’attuazione, di 3,1 miliardi di euro, proprio nel momento di maggiore difficoltà economica del Paese, a fine 2011. Il dicastero di via XX settembre – era la linea dell’accusa – aveva “ignorato e sottovalutato” i rischi dei contratti derivati sul debito pubblico sottoscritti con Morgan Stanley. E ha “gestito denaro pubblico come se fosse privato”. Così tra fine 2011 e inizio 2012 la banca d’affari ha chiesto e ottenuto, senza che il Tesoro si opponesse, l’attivazione di una clausola di estinzione anticipata di uno di questi contratti. Una scelta costata miliardi di euro alle casse dello Stato. “Contratti nulli perché aleatori? Allora deve essere nullo anche il Superenalotto e tutti i derivati sottoscritti con tutte le banche”, è stata la sua linea di difesa”, ha ribattuto il legale della banca Antonio Catricalà, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Monti nonché ex viceministro allo Sviluppo con Enrico Letta.
La sentenza della corte – Proprio durante l’udienza del 19 aprile scorso, il legale della banca d’affari e quelli di Cannata – difesa dal team di avvocati dello studio Iannacone e Associati ( Giuseppe Iannaccone, Riccardo Lugaro e nel team Caterina Fatta) – avevano contestato proprio la giurisdizione della Corte dei Conti in materia, chiedendo che a giudicare fosse la magistratura civile. La corte ha quindi accolto entrambe le contestazioni. E nelle 96 pagine della sentenza scrive che “non si può quindi ritenere che la stipulazione dei contratti derivati in contestazione integri gli estremi di una violazione di legge. Né si può ritenere sussistente una forma di eccesso di potere. Il ricorso ai prodotti derivati, nella fattispecie, avrebbe dovuto consentire di aumentare significativamente la flessibilità della gestione del debito, ridefinendo sinteticamente la durata media finanziaria, la valuta di denominazione e le condizioni di tasso di quello già collocato presso gli investitori, con ciò in parte svincolando il raggiungimento degli obiettivi programmatici dagli andamenti registrati in sede di collocamento, nella prospettiva di contenimento del rischio. Ed è in questa prospettiva che non si appalesa un vizio di eccesso di potere. Ciò anche in considerazione del fatto che l’operatività che oggi la Procura contesta è in corso dalla fine degli anni ’90, ed è stata perseguita e posta in essere costantemente negli ultimi vent’anni”.
I procedimenti già chiusi – Già nell’autunno del 2015 il gip di Roma aveva archiviato la posizione della Cannata che era stata indagata anche per manipolazione del mercato, truffa aggravata e abuso d’ufficio. Il tribunale dei ministri che il 22 gennaio 2016 ha poi stabilito che l’allora presidente del Consiglio Mario Monti e l’attuale ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan non commisero alcun reato.
Dai derivati impatto negativo di 24 miliardi in tre anni – Tra 2013 e 2016, ricordava Reuters nelle scorse settimane, i derivati hanno avuto un impatto negativo sul bilancio pubblico di 24 miliardi: 13,7 sono esborsi netti mentre 10,3 sono riclassificazioni statistiche. Lo scorso anno i derivati hanno avuto sul bilancio pubblico italiano un impatto negativo di oltre 8 miliardi, secondo le statistiche di Eurostat. Gli esborsi ammontano a 4,25 miliardi ma, considerando anche gli aggiustamenti contabili che incidono sul debito pubblico, il totale sale a 8,324 miliardi. Dal Rapporto sul debito pubblico pubblicato sul sito del ministero dell’Economia emerge che al 31 dicembre 2016 il valore di mercato di tutti gli strumenti derivati sul debito era negativo per 37,9 miliardi, a fronte di un valore nozionale di 143,5 miliardi.